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Dedicata a te, Eugenio: a mio figlio

Sommario

Ciao Eugenio, buongiorno.

Sono le 7, come tutte le mattine da quando mi hai fatto toccare con mano la Luce, seguo la Santa Messa su TV2000, come il giorno in cui il Padre ti ha chiamato vicino a se.

E lo farò, spero, fino al giorno in cui il Padre mi chiamerà vicino a te, per stare per sempre “mitini mitini“, come ci eravamo promessi.

Erano le 6 stamattina quando mi sono svegliato, sono rimasto un altro pochino nel letto, sperando di poterti toccare come quando dormivano vicini, ma non eri al mio fianco.

Speravo di poterti almeno vedere, ma non ti sei ancora manifestato a me.

Vabbè, mi ci vuole poco per vederti: chiudo leggermente le palpebre e ti vedo, mi tocco leggermente il petto in direzione del cuore e ti sento, guardo in direzione di una nuvola e ci sei tu.

E’ un mese che non sei più col tuo corpo ormai smagrito vicino a me.

Da un lato questo mi rattrista, perché fisicamente non sei vicino a me, non ti tengo vicino mentre scrivo il tuo diario, non ti controllo ogni 5 minuti l’ossigenazione, non ti stendo il lenzuolo il pomeriggio per farti riposare sul divano, non ti accarezzo vicino a me nel lettone dopo finito la preghierina, mentre aspetto che tu ti addormenti.

Dall’altro lato sono sereno, perché ti sento libero da quei due “mandarini” che ti erano cresciuti nel cervello, ti sento godere dell’amore che quotidianamente il Signore ti dona dalla sua Luce, ti vedo sorridere dalla gioia che solo il Paradiso può dare.

Ogni giorno, quando apparecchio la tavola con la tua fotografia, penso a te che stai mangiando con tutti i tuoi nuovi amici, e ne sono felice.

Mi dispiace, lo ammetto, che non sei più vicino a me a tavola per gustare le pietanze che mia moglie, tua mamma, ci deliziava ad ogni pasto; spesso facevamo battute e risate sui piatti, qualche volta improvvisati e pasticciati, ma abbiamo sempre onorato le chef che col loro amore ci sapevano far godere delle grazie di Dio.

Mi manchi cucciolo mio: ieri non siamo potuti venire a trovarti a “casetta” tua, perchè il cimitero il lunedi è chiuso, ma ti abbiamo pensato intensamente, io ti ho pensato molto intensamente, forse un po’ troppo. Ma il mio braccio destro, la mia spalla forte, il mio compagno, il mio complice, il mio diletto mi manca. Tantissimo.

No, non credo: ci si abitua al dolore, si impara a conviverci, ma non passa mai.

Questo tipo di dolore non passa mai: ci si può costruire qualcosa attorno, qualcosa di bello, di utile, di costruttivo, affinché il dolore si trasformi in gioia, ma il dolore di un padre, o di una madre, o di una sorella che vedono volare in cielo il proprio amato non passa mai.

colazione con la foto di Eugenio: a mio figlio
colazione con la foto di Eugenio

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