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Si rideva, anche per niente, si scherzava, su tutto ciò che ci circondava. Era il nostro modo di essere vivi, era il nostro modo di vivere la vita in pieno.
Eugenio e Francesca nei lettini, martedì 2 aprile 2019
Quello che avevamo era tanto, era l'amore che ci univa. Il resto non serviva. Nel silenzio ci si amava, nel parlare ci si amava.
Le prime ferite di guerra sono le più dolorose, quelle che lasciano il segno sulla pelle e nell'anima.
E restano nel cuore di chi ha amato, di chi ama e di chi amerà.
Facile è la discesa all'Averno: notte e giorno la porta del nero Dite sta aperta: ma risalire i gradini, e ritornare a rivedere il cielo qui sta il valore, qui la fatica.
Virgilio, Eneide
Entro nel testo (Gv 20,11-18)
In quel tempo, Maria stava all’esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù.
Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?».
Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove l’hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» – che significa: «Maestro!».
Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va’ dai miei fratelli e di’ loro: “Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro”». Maria di Màgdala andò subito ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.
Mi lascio ispirare
Maria piange perché pensa che abbiano portato via il suo Signore. E va ripetendo a tutti gli interlocutori che incontra, ribadisce con ostinata certezza: “Hanno portato via il mio Signore!”. È una convinzione a cui ha incominciato a credere quando, ancora lontana dal sepolcro, ha notato la pietra rotolata. Quante volte anche noi crediamo a una interpretazione della realtà che sembra essere coerente con i fatti e che non ci sogneremmo mai di mettere in dubbio!
Il problema è che a partire da quella convinzione, guardiamo la realtà attraverso un filtro polarizzato per continuare a far tornare i conti con quella convinzione. Maria incontra Gesù in persona ma è talmente concentrata sul suo film interiore che non lo riconosce e lo scambia per un giardiniere. È più coerente con la narrazione che sta creando della realtà.
Maria si accorge di essere disconnessa dalla realtà quando Gesù la chiama nel suo modo usuale. A quel punto, la mente si risveglia e lei collega l’istante presente con il passato, ricordando quella sensazione che una sola persona le faceva provare quando pronunciava il suo nome. La mente vorrebbe ingabbiare subito in uno schema quello che sta sperimentando e Gesù le comanda: Non mi trattenere! Non inscatolarmi subito in un concetto, in un’idea. Rimani a contatto ancora un po’ con il mistero che sta accadendo!
Ogni volta che ci riconnettiamo alla realtà come è successo a Maria, avviene una risurrezione e vediamo le cose in modo nuovo, per quello che sono. Avviene una vera e propria pasqua, un “passaggio” che abilita la nostra coscienza a vedere ciò che prima non poteva essere visto… Con lui risorgiamo anche noi!
Leggi ed ascolta la toccante poesia "io sono originale" di Benjamin Giroux
Curiosando
“Io sono originale” è una poesia toccante scritta da Benjamin Giroux, un bambino colpito dalla sindrome di Asperger. Benjamin aveva solo 10 anni quando ha trasformato un compito in classe dell’insegnante in un componimento poetico di immenso significato. La sua poesia ha fatto il giro del mondo e continua a ispirare molte persone.
La sindrome di Asperger è un disturbo pervasivo dello sviluppo che influisce sulla capacità di interagire e comunicare efficacemente con gli altri. Ecco alcuni punti chiave:
Caratteristiche:
Difficoltà nelle interazioni sociali: Le persone con Asperger possono avere problemi a comprendere le dinamiche sociali, a interpretare le emozioni degli altri e a stabilire relazioni.
Comportamenti ripetitivi: Mostrano schemi motori o interessi particolari e possono essere molto focalizzate su determinati argomenti.
Buone capacità linguistiche e cognitive: A differenza di altre forme di autismo, non ci sono significativi ritardi nello sviluppo del linguaggio o della cognizione.
Comorbilità: La sindrome di Asperger può essere associata ad altri disturbi come la fobia sociale, il disturbo non verbale dell’apprendimento e la depressione.
Diagnosi:
Non esiste un test medico specifico per la sindrome di Asperger. La diagnosi si basa sull’osservazione del comportamento del bambino in diverse situazioni.
I test genetici possono essere utilizzati per identificare eventuali disordini genetici.
Trattamento:
Interventi comportamentali ed educativi sono spesso utilizzati per gestire la condizione.
Alcune opzioni includono:
Formazione sulle abilità sociali: Insegnare come interagire con gli altri.
Logopedia e terapia del linguaggio: Per migliorare le capacità comunicative.
Terapia cognitivo-comportamentale: Aiuta a gestire i problemi modificando il modo di pensare e il comportamento.
Eziologia:
La causa precisa è ancora sconosciuta, ma si pensa che sia legata a fattori genetici e anomalie nella funzione cerebrale.
Comorbilità:
La sindrome di Asperger può coesistere con altri disturbi come depressione, ansia, disturbo ossessivo-compulsivo e sindrome di Tourette.
In sintesi, la sindrome di Asperger è caratterizzata da una combinazione di difficoltà sociali, comportamenti ripetitivi e buone capacità linguistiche e cognitive. È importante riconoscere e supportare le persone con questa condizione, promuovendo l’accettazione e l’inclusione.
Francesco nasce a Paola (CS) il 27 marzo 1416 da una coppia di genitori già avanti negli anni; il padre Giacomo Alessio detto “Martolilla” e la madre Vienna di Fuscaldo, durante i quindici anni di matrimonio già trascorsi, avevano atteso invano la nascita di un figlio, per questo pregavano San Francesco di Assisi, di intercedere per loro e inaspettatamente alla fine il figlio arrivò.
Riconoscenti, i genitori lo chiamarono Francesco; il santo di Assisi intervenne ancora nella vita di quel bimbo: dopo appena un mese si scoprì che era affetto da un ascesso all’occhio sinistro che si estese fino alla cornea, i medici disperavano di salvare l’occhio. La madre fece un voto a S. Francesco, di tenere il figlio in un convento di Frati Minori per un intero anno, vestendolo dell’abito proprio dei Francescani; il voto dell’abito è usanza ancora esistente nell’Italia Meridionale. Dopo qualche giorno, l’ascesso scomparve completamente.
San Marco Argentano
Fu allevato senza agi, ma non mancò mai del necessario; imparò a leggere e scrivere verso i 13 anni, quando i genitori, volendo esaudire il voto fatto a S. Francesco, lo portarono al convento dei Francescani di San Marco Argentano. In quell’anno l’adolescente rivelò subito doti eccezionali. Trascorso l’anno del voto, Francesco volle tornare a Paola fra il dispiacere dei frati e d’accordo con i genitori intrapresero insieme un pellegrinaggio ad Assisi alla tomba di S. Francesco, era convinto che quel viaggio gli avrebbe permesso d’individuare la strada da seguire nel futuro.
Fecero tappe a Loreto, Montecassino, Monteluco e Roma. Nella tappa di Monteluco, Francesco poté conoscere, in quell’eremo fondato nel 528 da S. Isacco, un monaco siriano fuggito in Occidente, gli eremiti che occupavano le celle sparse per la montagna; fu molto colpito dal loro stile di vita, al punto che tornato a Paola, si ritirò a vita eremitica in un campo che apparteneva al padre, a quasi un chilometro dal paese, era il 1429. Si riparò prima in una capanna di frasche e poi in una grotta, che egli stesso allargò scavando il tufo con una zappa; in questo luogo visse altri cinque anni in penitenza e contemplazione.
Ordine dei Minimi
La fama del giovane eremita si sparse nella zona e tanti cominciarono a raggiungerlo per chiedere consigli e conforto; lo spazio era poco per questo via vai, per cui Francesco si spostò di nuovo più a valle costruendo una cella su un terreno del padre; dopo poco tempo alcuni giovani, dopo più visite, gli chiesero di poter vivere come lui nella preghiera e solitudine. Così nel 1436, con una cappella e tre celle, si costituì il primo nucleo del futuro “Ordine dei Minimi”; la piccola Comunità si chiamò “Eremiti di frate Francesco”.
Prima di accoglierli, Francesco chiese il permesso al suo vescovo di Cosenza mons. Bernardino Caracciolo, il quale avendo conosciuto il carisma del giovane eremita acconsentì; per qualche anno il gruppo visse alimentandosi con un cibo di tipo quaresimale, pane, legumi, erbe e qualche pesce, offerti come elemosine dai fedeli.
Non erano ancora una vera comunità ma pregavano insieme nella cappella a determinate ore. Fu in seguito necessario allargare gli edifici e nel 1452 Francesco cominciò a costruire la seconda chiesa e un piccolo convento intorno ad un chiostro, tuttora conservati nel complesso del Santuario.
l’acqua della cucchiarella
Durante i lavori di costruzione Francesco operò altri prodigi, un grosso masso che stava rotolando sugli edifici venne fermato con un gesto del santo e ancora oggi esiste sotto la strada del Santuario; entrò nella fornace per la calce a ripararne il tetto, passando fra le fiamme e rimanendo illeso; inoltre fece sgorgare una fonte con un tocco del bastone, per dissetare gli operai, oggi è chiamata “l’acqua della cucchiarella”, perché i pellegrini usano attingerne con un cucchiaio.
Secondo la tradizione, uno Spirito celeste, forse l’arcangelo Michele, gli apparve mentre pregava, tenendo fra le mani uno scudo luminoso su cui si leggeva la parola “Charitas” e porgendoglielo disse: “Questo sarà lo stemma del tuo Ordine”.
La fama di questo monaco dalla grossa corporatura, con barba e capelli lunghi che non tagliava mai, si diffondeva in tutto il Sud, per cui fu costretto a muoversi da Paola per fondare altri conventi in varie località della Calabria: Paterno Calabro, Spezzano della Sila, Corigliano Calabro.
Gli fu chiesto di avviare una comunità anche a Milazzo in Sicilia. Pertanto con due confratelli si accinse ad attraversare lo stretto di Messina; qui chiese ad un pescatore se per amor di Dio l’avesse traghettato all’altra sponda, ma questi rifiutò visto che non potevano pagarlo.
Senza scomporsi Francesco legò un bordo del mantello al bastone, vi salì sopra con i due frati e attraversò lo Stretto con quella barca a vela improvvisata. Il miracolo, fra i più clamorosi di quelli operati da Francesco, fu in seguito confermato da testimoni oculari, compreso il pescatore Pietro Colosa di Catona che si rammaricava e non si dava pace per il suo rifiuto.
Risanava gli infermi, aiutava i bisognosi, “risuscitò” il suo nipote Nicola, giovane figlio della sorella Brigida, anche suo padre Giacomo Alessio, rimasto vedovo, entrò a far parte degli eremiti, diventando discepolo di suo figlio fino alla morte.
Napoli
Le qualità di taumaturgo si diffusero anche all’estero, raggiungendo il re di Francia Luigi XI, gravemente malato: ma Francesco non amava la vita di corte e dovette intervenire il papa per persuaderlo a trasferirsi. Nella sua tappa a Napoli, dove poi nel 1846 venne costruita la grande, scenografica, reale Basilica di S. Francesco da Paola, nella celebre Piazza del Plebiscito, fu ricevuto con tutti gli onori de re Ferrante I, incuriosito di conoscere quel frate. Il sovrano assisté, non visto, ad una levitazione da terra di Francesco, assorto in preghiera nella sua stanza; poi cercò di conquistare l’amicizia offrendogli un piatto di monete d’oro, da utilizzare per la costruzione di un convento a Napoli.
Si narra che Francesco presone una la spezzò e ne uscì del sangue e rivolto al re disse: “Sire questo è il sangue dei tuoi sudditi che opprimi e che grida vendetta al cospetto di Dio”, predicendogli anche la fine della monarchia aragonese, che avvenne puntualmente nei primi anni del 1500.
Nel maggio 1482 arrivò al castello di Plessis-du-Parc, dov’era ammalato il re Luigi XI, nel suo passaggio in terra francese liberò Bormes e Frejus da un’epidemia.
A Corte fu accolto con grande rispetto, col re ebbe numerosi colloqui, per lo più miranti a far accettare al sovrano l’ineluttabilità della condizione umana, uguale per tutti, e per quante insistenze facesse il re di fare qualcosa per guarirlo, Francesco rimase coerentemente sulla sua posizione, giungendo alla fine a convincerlo ad accettare la morte imminente, che avvenne nello stesso anno 1482, dopo aver risolto le divergenze in corso con la Chiesa.
Alla scomparsa di Luigi XI, Francesco avrebbe desiderato tornare in Calabria ma dovette rinunciare per diventare direttore spirituale di corte; intanto l’ordine, da lui fondato, si diffondeva, passando dalla regola eremitica a quella conventuale; nacquero anche il ramo femminile e quello terziario laico.
Francesco da Paola muore il 2 aprile 1507 a Plessis-les-Tours, vicino Tours (F) dove fu sepolto: era un venerdì santo ed aveva 91 anni.
Papa Leone X (Giovanni de’ Medici, 1513-1521) nel 1513 lo proclamò beato e nel 1519 lo canonizzò.
Significato del nome Francesco: “uomo libero” (antico tedesco).
Nacque a Paola, oggi provincia di Cosenza, il 27 marzo 1416. Colpito da bambino da una forma grave d'infezione ad un occhio, i genitori lo affidarono all'intercessione di Francesco d'Assisi: in caso di guarigione il piccolo avrebbe indossato per un anno intero l'abito francescano.
Perfettamente guarito, per sciogliere il voto entrò a 15 anni nel convento di S. Marco Argentano (Cosenza) dove subito manifestò la sua propensione alla preghiera e forti doti di pietà. Al termine della sua permanenza in convento intraprese con i genitori un pellegrinaggio in cerca della vita religiosa più adatta a lui. Si recò ad Assisi, Montecassino, Roma, Loreto e Monte Luco. A Roma, turbato dallo sfarzo della corte papale commentò: "Nostro Signore non andava così". Era il primo indizio della sua anima riformatrice.
Eremita
Rientrato a Paola, iniziò un periodo di vita eremitica, in un luogo impervio compreso nelle proprietà familiari. Altri si associarono via via a questa esperienza, e sempre più numerosi, riconoscendolo presto come guida spirituale. Con i suoi, costruì una cappella e tre dormitori. Nel 1452 giunse l’approvazione diocesana e la facoltà di istituire un oratorio, un monastero ed una chiesa. Gli stessi nobili di Paola, entusiasti dell’esperienza di Francesco, contribuirono come semplici operai alla costruzione degli edifici.
Approvazioni papali
La fama di santità di Francesco si diffuse rapidamente: nel 1467 papa Paolo II inviò a Paola un suo emissario per avere notizie dell'eremita. Dopo aver presentato il suo rapporto positivo sul monastero, lo stesso legato pontificio decise di aggregarsi alla comunità.
Il 17 maggio 1474, papa Sisto IV riconosceva ufficialmente il nuovo ordine con la denominazione: Congregazione eremitica paolana di San Francesco d'Assisi. Il riconoscimento della regola con il nome attuale venne invece con papa Alessandro VI.
Il mantello sul mare
Amato e cercato come guida spirituale, Francesco era anche considerato l’unica autorità in grado di opporsi ai soprusi della corte aragonese nel regno di Napoli, mettendosi a fianco dei poveri. Di questo narrano alcuni fatti prodigiosi a lui attribuiti. Nel 1464, anno di grave carestia, alcuni operai si dirigevano verso la piana di Terranova per trovare lavoro. In territorio di Galatro (Reggio Calabria) si imbatterono in San Francesco diretto in Sicilia.
Questi chiese loro un po' di pane ma essi erano a loro volta affamati e senza niente da mangiare. Allora Francesco disse: “Datemi le vostre bisacce, perché dentro c'è del pane”. Così era: nelle povere sacche gli operai trovarono pane bianchissimo, caldo e fumante. E più ne mangiavano, più aumentava.
Secondo un altro racconto, un barcaiolo si rifiutò di traghettare Francesco e compagni in Sicilia. Il santo stese allora il suo mantello sul mare e così poterono varcare lo stretto. Altro "carisma" attribuito al santo eremita fu la profezia, come quando previde che la città di Otranto sarebbe caduta in mano ai turchi nel 1480 e poi riconquistata dal re di Napoli.
Dal romitorio a corte
Portata dai mercanti napoletani, la fama di Francesco giunse in Francia, alla corte di Luigi XI, allora infermo, il quale chiese a papa Sisto IV di far arrivare l’eremita al suo capezzale. Sia il papa che il re di Napoli videro in questo invito possibilità di vantaggi politici.
Francesco però obbedì a fatica all’imposizione papale: era abituato al suo romitorio e malvolentieri si sarebbe adattato alla vita di corte. Al suo arrivo, re Luigi XI gli si inginocchiò ai piedi, non ottenne mai la guarigione, ma l’azione a corte dell’eremita portò a buoni rapporti tra il papato e la monarchia francese. Anche qui Francesco fu avvicinato dai semplici ma anche da accademici in cerca di una guida spirituale. Rimase 25 anni oltralpe, dove lavorò la terra come un contadino, sempre accrescendo la sua fama di riformatore e penitente.
Con l’aggregazione di alcuni benedettini e francescani, la congregazione calabrese abbandonò la vita eremitica per quella cenobitica. Inoltre la svolta porterà alla fondazione prima del Terz’Ordine secolare e poi delle Monache. Le rispettive regole furono definitivamente approvate da Giulio II il 28 luglio 1506.
Morte e canonizzazione
Francesco si spense a Tours il 2 aprile 1507. La sua fama si diffuse presto in Europa attraverso i tre rami della famiglia Minima (frati, monache e terziari). Fu canonizzato il 1º maggio 1519, a soli dodici anni dalla morte, durante il pontificato di Papa Leone X, al quale aveva predetto l'elezione al soglio pontificio quando questi era ancora bambino. Il 13 aprile 1562, alcuni ugonotti forzarono la sua tomba, e trovando il suo corpo incorrotto gli diedero fuoco. Le poche reliquie sono conservate nei conventi dei Minimi, fra cui Palermo, Milazzo e Paola.
Meditazione di oggi: la tua battaglia è stata vinta
Sommario
La tua battaglia è stata vinta
Ti sei mai sentito sopraffatto dalle circostanze o ti sei mai chiesto perché hai continuato a combattere con lo stesso problema?
Gesù ci ha insegnato che la vita come discepoli di Cristo sarà difficile. Il mondo è pieno di persone distrutte che fanno cose sbagliate. Ci saranno delle prove.
Quando Adamo ed Eva decisero di perseguire qualcosa di "buono" all'infuori di Dio, la loro decisione permise al male di entrare nel mondo. Ciò significa che c'è una battaglia spirituale che non possiamo vedere, e che ha un impatto sulla nostra vita quotidiana.
Quando diamo la nostra vita a Gesù, ci uniamo alla Sua squadra, ma questo significa anche che diventiamo un bersaglio del diavolo, il nostro nemico. Ogni cosa brutta che ci accade non è necessariamente un attacco diretto di Satana, a volte è solo il risultato del vivere in un mondo decaduto e distrutto. Ma c'è un elemento spirituale in ogni situazione, perché il diavolo prova sempre ad allontanare il mondo da Dio e cerca persone da distruggere.
Quando inizia la battaglia, il diavolo cercherà di farti credere alle bugie su Dio, sulla tua situazione, su te stesso o sulle altre persone. Cercherà di farti dubitare della tua identità e della tua autorità data da Dio. Ma Dio, che ha vinto Satana, combatte sempre per te.
Niente può prevalere su Dio e quindi, quando ci affidiamo a Lui, niente può vincerci.
In ogni situazione siamo più che vincitori perché Dio ci ama profondamente. Questo è il motivo per cui non dobbiamo avere paura del combattimento spirituale: Dio ha già vinto. Dobbiamo ricordare a noi stessi questa verità in modo da poter resistere agli attacchi di Satana quando arriveranno.
Quindi oggi riempi la tua mente di verità. Resta saldo nella tua fede e custodisci il tuo cuore. Vivi in pace con tutti e impara a memoria la Scrittura in modo da poterla impugnare come arma contro qualsiasi attacco spirituale si presenti.
E sappi che, qualunque cosa affronti, Dio sta già combattendo per te. Egli ha il controllo, non ti abbandonerà mai e non ti lascerà mai cadere finché continuerai ad aggrapparti a Lui.
Quando appartieni a Dio, hai il potere di sottomettere, schiacciare e rovesciare tutto ciò che il diavolo scaglia contro di te. La potenza di Dio ti rende più che vincitore.
La vita ci mette davanti a tanti interrogativi: dove ci porterà il male che sembra abitare nel cuore dell’uomo? Perché l’amore in cui abbiamo creduto a un certo punto si dissolve? Cosa possiamo fare davanti all’ingiustizia che sembra trionfare ogni volta?
Sono alcuni degli interrogativi che probabilmente abitano prima o poi il cuore di tutti noi. E quando il cuore è appesantito, si blocca. Non riesce più a sperare. Facciamo fatica a fidarci persino di Dio e non riusciamo più a riconoscere i segni della sua presenza.
Discepoli increduli
Il testo del Vangelo di Giovanni che la liturgia ci propone nella domenica di Pasqua è il primo di una serie di episodi nei quali incontreremo proprio l’incredulità dei discepoli.
La fede è un percorso faticoso, perché si tratta di lasciarci guarire dalle ferite della sfiducia, dalle ferite generate dai nostri tradimenti, dalle ferite della delusione. I discepoli non arrivano subito a credere, ma avranno bisogno di fare un cammino.
E questo cammino, come vediamo già in questa domenica, non sarà uguale per tutti, ma ciascuno, a partire dalla propria storia e dalla propria situazione, percorrerà la sua strada, un itinerario di domande e di scoperte fino a diventare testimoni.
È importante infatti leggere il testo degli Atti degli apostoli, che cominciamo ad ascoltare in questa domenica, proprio come frutto di quel cammino che i discepoli hanno intrapreso a partire da questa domenica di Pasqua: non si arriva subito a diventare testimoni, bisogna camminare e cercare.
Vediamo dunque come il testo della liturgia di oggi comincia a presentare itinerari diversi per ciascun discepolo.
Cercare nella notte
Maria di Magdala è colei che ha il coraggio di lanciarsi nel buio. Si tratta di un’immagine che evoca la figura della sposa del Cantico dei Cantici, quella sposa che prima ha esitato, non ha voluto aprire allo sposo per non sporcarsi i piedi, e poi invece si lancia nella notte alla ricerca dello sposo seguendo il suo profumo, quel profumo che lo sposo ha lasciato sul chiavistello della porta chiedendo di entrare.
Maria è anche colei che ha probabilmente vegliato tutta la notte, aspettando il primo momento utile per ripartire. D’altra parte però il cuore di Maria sembra anche un cuore rassegnato, senza speranza: va al sepolcro cercando ancora un morto.
E quando vede che la pietra è stata rotolata dal sepolcro, il suo cuore non è riempito di gioia, ma di disperazione, perché pensa solo al fatto che adesso non avrà più un corpo su cui fare il lamento. Non è che forse noi credenti siamo rimasti lì? Non è che forse la fede è diventata per noi un’occasione di pianto e di rassegnazione piuttosto che un motivo di gioia e di speranza? Chi è Gesù per noi: un morto su cui fare il lamento o il risorto da annunciare?
Ti capiamo Maria: il tuo cuore era così segnato dal dolore della sconfitta, della perdita dell’amato, dal dolore del tradimento degli uomini, che è difficile tornare a sperare ancora. Il nostro cuore tende a rassegnarsi perché ha paura di restare nuovamente deluso.
Sebbene sia ancora un annuncio incompleto, impreciso, vago, sta di fatto che è proprio Maria a portare la notizia del sepolcro vuoto: il corpo di Gesù non c’è. Questa notizia effettivamente mette in moto i discepoli. Corrono, vanno a vedere. Non si tratta di un’evidenza, di una spiegazione, ma di una situazione che semplicemente solleva delle domande. Il sepolcro vuoto non è una risposta, ma un interrogativo. Abbiamo bisogno di cercare.
Ancora una volta, proprio come lo sposo del Cantico dei Cantici, Gesù si lascia cercare, chiede a ciascuno di noi di intraprendere un cammino, mossi dal desiderio o dall’inquietudine, per arrivare a incontrarlo.
Stanchezza e fiducia
Pietro e il discepolo che Gesù amava corrono, perché nonostante i dubbi e le debolezze, il loro cuore non ha mai smesso di desiderare di incontrare di nuovo il maestro. Pietro e l’altro discepolo sono espressione di altri modi di cercare il Signore.
Pietro è l’immagine di una fede stanca, una fede che vorrebbe correre, ma non ci riesce. È una fede segnata dal tradimento e che, proprio per questo, ha bisogno ancora di percorrere un cammino di riconciliazione. Pietro è l’immagine della fede che ha bisogno di essere guarita dall’amore del Signore.
Al contrario, il discepolo che ha fatto l’esperienza di sentirsi amato, che non si è allontanato dalla croce, è capace di correre. È immagine di una fede giovane, una fede innamorata. Questo discepolo intravvede, non entra, intuisce, ma questo gli basta per credere. Quando vogliamo bene a una persona non abbiamo bisogno di fare tante domande per capire quello che sta vivendo. Pietro invece, pur vedendo, non crede ancora. Il discepolo che Gesù ama non ha bisogno di comprendere per credere, a differenza di Pietro che cerca delle risposte per poter riconoscere la verità di quello che vede.
Il nostro percorso
Non importa quale sia stato o quale sia il tuo percorso, l’importante è cercare per arrivare all’incontro con lo Sposo, all’incontro con Colui dal quale ci sentiamo amati per diventare suoi testimoni. La Pasqua dunque non è un punto d’arrivo, ma un punto di partenza.
Ovunque tu sia nella tua vita, comincia a cercare, non stancarti, non perderti d’animo. Guarda quello che oggi il Signore mette nella tua vita e lasciati guidare dal profumo che ha lasciato sulla porta del tuo cuore.
Leggersi dentro
In che modo stai cercando oggi il Signore nella tua vita?
Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo.
Dagli Atti degli Apostoli At 2,36-41
[Nel giorno di Pentecoste,] Pietro diceva ai Giudei: «Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso».
All'udire queste cose si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro e agli altri apostoli: «Che cosa dobbiamo fare, fratelli?». E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo.
Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro». Con molte altre parole rendeva testimonianza e li esortava: «Salvatevi da questa generazione perversa!».
Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone.
Parola di Dio.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 32 (33)
R. Dell'amore del Signore è piena la terra.
Retta è la parola del Signore e fedele ogni sua opera. Egli ama la giustizia e il diritto; dell'amore del Signore è piena la terra. R.
Ecco, l'occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame. R.
L'anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo. Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo. R.
SEQUENZA [Facoltativa]
Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.
Questo è il giorno fatto dal Signore: rallegriamoci ed esultiamo. (Sal 117,24)
Alleluia, alleluia.
Il Vangelo del 2 aprile 2024
Ho visto il Signore e mi ha detto queste cose.
Dal Vangelo secondo Giovanni Gv 20,11-18
In quel tempo, Maria stava all'esterno, vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù.
Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove l'hanno posto».
Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù, in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?».
Ella, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove l'hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Ella si voltò e gli disse in ebraico: «Rabbunì!» - che significa: «Maestro!».
Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: "Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro"».
Maria di Màgdala andò subito ad annunciare ai discepoli: «Ho visto il Signore!» e ciò che le aveva detto.
"Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre" (Gv 20,16-17)
"Maria!", ti riconosco col tuo nome; tu impara a conoscermi con la fede. "Rabbunì!, dice lei, che significa: Maestro", insegnami a cercarti, insegnami a vederti.
"Non mi trattenere, risponde Gesù, perché non sono ancora salito al Padre" (Gv 20,16-17): tu non credi ancora che sono uguale, eterno e consustanziale al Padre. Credilo e mi vedrai. Il tuo sguardo si ferma all'uomo, perciò non credi, poiché non si crede a ciò che si vede. Non vedi Dio; credi e vedrai. Con la fede, mi vedrai, come quella donna che toccò il lembo del mio mantello e fu subito guarita (cfr. Mt 9,20-22). Perché? Perché mi ha toccato con fede.
Toccami con quella mano, cercami con quegli occhi, corri verso di me con quei piedi. Non sono lontano da te; io sono il Dio vicino (cfr. Dt 4,7), parola nella tua bocca e nel tuo cuore. E cosa di più vicino all'uomo del suo cuore?
E' lì, nell'intimo, che mi hanno scoperto tutti coloro che mi hanno trovato. Poiché ciò che è fuori riguarda la vista. Le mie opere sono reali e tuttavia restano fragili e passeggere; mentre io, il loro Creatore, abito nel più profondo dei cuori puri.
PAROLE DEL SANTO PADRE
Maria soffre doppiamente: anzitutto per la morte di Gesù, e poi per l’inspiegabile scomparsa del suo corpo. E mentre sta china vicino alla tomba, con gli occhi pieni di lacrime, che Dio la sorprende nella maniera più inaspettata.
L’evangelista Giovanni sottolinea quanto sia persistente la sua cecità: non si accorge della presenza di due angeli che la interrogano, e nemmeno s’insospettisce vedendo l’uomo alle sue spalle, che lei pensa sia il custode del giardino. E invece scopre l’avvenimento più sconvolgente della storia umana quando finalmente viene chiamata per nome: «Maria!» (v. 16).
Com’è bello pensare che la prima apparizione del Risorto – secondo i vangeli – sia avvenuta in un modo così personale! Che c’è qualcuno che ci conosce, che vede la nostra sofferenza e delusione, e che si commuove per noi, e ci chiama per nome.
È una legge che troviamo scolpita in molte pagine del vangelo. Intorno a Gesù ci sono tante persone che cercano Dio; ma la realtà più prodigiosa è che, molto prima, c’è anzitutto Dio che si preoccupa per la nostra vita, che la vuole risollevare, e per fare questo ci chiama per nome. (Udienza Generale, 17 maggio 2017)
Udienza Generale del Santo Padre Francesco del 17 maggio 2017