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Qual è la strada per tornare a casa?

Qual è la strada per tornare a casa?

Qual è la strada per tornare a casa? La domanda di chi si è perso

Commento al Vangelo del 13 aprile 2025

Domenica delle Palme (anno C)

«Se ami la tua anima, devi essere disposto a perderla; 
se vuoi conservare la vita in Cristo, 
non devi temere la morte per Cristo»

Sant’Agostino, Omelia 51,10

La vita attraversa prima o poi la notte, tempi di oscurità, di desolazione o di crisi. E, dentro la notte, proviamo a trovare la strada per tornare verso casa. A volte la notte ci sorprende inaspettata, a volte le siamo andati incontro, a volte siamo stati proprio noi a spegnere la luce. 

Nel suo racconto della Passione del Signore, Luca ci mette davanti degli esempi, dei tentativi per ritrovare la strada. Il suo racconto, infatti, si distende dalla sera all’alba, dalla cena di Gesù con i discepoli fino allo scorgere le prime luci del sabato (Lc 23,54). Luca vuole forse dirci che in quella notte Dio non solo non ci abbandona, ma la attraversa con noi. Nel suo racconto, infatti, le vicende degli uomini e quelle di Dio si intrecciano per diventare un unico racconto.

Ci si può perdere prima di tutto perché si sceglie di donare se stessi. Il racconto della passione si apre in Luca con le parole che Gesù pronuncia durante la cena: il corpo è dato per voi; il sangue è versato per voi. Ci si perde, come Gesù, quando si fa della propria vita un cibo che può nutrire e aiutare altri a vivere. Ci si perde come lui quando l’amore viene sprecato come il sangue, come il profumo che inebria la stanza e non può più essere recuperato. Qui il perdersi è un’immagine dell’amore: non si arriva mai ad amare se non si sceglie di perdersi.

Nella passione di Luca c’è però anche un figlio che non ritrova più la strada per tornare a casa, proprio come il figlio della parabola che Luca aveva raccontato nel suo Vangelo. Questo figlio è Pietro. Pietro si perde perché crede di poter contare sulle sue forze: “Signore con te sono pronto ad andare anche in prigione e alla morte” (Lc 22,33). Pietro si perde perché si addormenta: dovrebbe pregare per allontanare la tentazione, ma è triste e non ce la fa. Ci si perde anche perché si è dato troppo spazio alla tristezza nel cuore. 

Per ritrovare la strada verso casa, Pietro deve accettare di piangere, deve vedere la sua fragilità. Gli succede un po’ per caso: si avvicina al fuoco per scaldarsi e invece trova la luce. Sono quelle situazioni non scelte, ma che accadono nella nostra vita e che ci costringono a metterci davanti a noi stessi e a rileggere quello che stiamo vivendo.

Ci si perde anche perché si tradisce. Il tradimento avviene sempre in una relazione che sembrava diversa. Non sarebbe possibile il tradimento se prima non ci fosse stata fiducia. Giuda sa dove trovare Gesù. Bisogna conoscere l’altro e godere della sua fiducia per poterlo tradire. Giuda, infatti, può avvicinarsi a Gesù e baciarlo. Quel bacio, che è il simbolo dell’intimità, diventa il luogo della distanza. Il bacio di Giuda è un po’ come la spada che i discepoli hanno conservato. Di fatto nessuno si è fidato, tutti hanno tramato nel segreto del cuore: mostravano fiducia e affetto, ma nel cuore sentivano sfiducia e risentimento.

Ci si può perdere come il sommo sacerdote e gli altri membri del Sinedrio. Ci si perde infatti perché ci si ostina a non vedere. Ci si irrigidisce nei propri schemi. Ci si perde perché non si è disposti ad accettare che le cose possono essere anche diverse da come le abbiamo immaginate. Ci si perde perché non si accetta di avere torto. Ci si perde, in fondo, perché non si è disposti a cedere il proprio potere. 

Ci si perde, perché, come Pilato, non si decide. Pilato è l’immagine dell’indecisione, è l’immagine di chi vede, ma non riesce ad agire di conseguenza. Pilato è colui che si smarrisce perché ha paura di perdere il consenso. Si perde perché è concentrato sulla sua immagine. Teme il giudizio della folla, teme di perdere consensi. L’indecisione di Pilato è imbarazzante, perché lo porta ad agire in maniera goffa e ingiusta. La sua indecisione ricade sul più debole, sull’innocente. 

Ci si perde anche quando si crede che la vita sia tutta un gioco. Erode è un antisociale, che non prende niente sul serio. Anche Gesù è uno strumento per divertirsi. Ci si perde quando trasformiamo gli altri in oggetto da usare per i nostri vizi. Ci perdiamo quando manipoliamo gli altri, quando li trattiamo come pedine del nostro gioco. Ci si perde quando pretendiamo da Dio che ci faccia vedere qualcosa di straordinario, semplicemente per il gusto di sperimentare qualcosa di eccezionale.

Proprio perché Pilato ed Erode si sono entrambi persi, riescono a incontrarsi nella folla di coloro che non sanno più dove stanno andando.

Ad un certo punto però, intorno o vicino a quest’uomo che si è perso per amore, compaiono personaggi che, per ragioni e in modi diversi, cominciano a trovare la strada per tornare a casa.

Barabba trova per caso la strada per tornare a casa. Qualcun altro ce lo porta. Non ha alcun merito, nessuna intenzione. Non sta cercando un’alternativa alla sua vita. Non si è pentito. Eppure, si ritrova salvato, gratuitamente, perché un altro ha preso il suo posto nella morte. Questo squarcio sulla passione ci aiuta a comprendere la gratuità del perdono: siamo salvati senza alcun merito. Siamo stati salvati, mentre eravamo ancora peccatori (cf Rm 5,8).

La strada per tornare a casa a volte è una strada di sofferenza, una sofferenza di cui non abbiamo colpa. Siamo innocenti, ma una croce ci cade addosso. E siamo costretti a percorrere quella strada. È la strada del Calvario, come accade a Simone di Cirene. Mentre è sotto quella croce, Simone non può certamente capire che è quella la strada che lo riporta a casa. Lo potrà capire soltanto dopo, quando sarà chiaro che quel pezzo di strada faceva parte del disegno di Dio per salvare l’umanità.

Si può ritrovare la strada verso casa anche in extremis, all’ultimo momento, perché ci si rende conto che la strada percorsa era tutta sbagliata. Riconoscerlo non è scontato, perché qualcuno vive questo momento di consapevolezza anche nella rabbia e nell’odio distruttivo. Accanto a Gesù sulla croce vediamo proprio due modi diversi di reagire davanti alla conclusione di un cammino sbagliato: ci sono due malfattori, ma uno insulta e l’altro chiede perdono. Uno dovrà ancora camminare, l’altro entra in casa!

Si può tornare a casa anche se si proviene da molto lontano. Si torna a casa perché ci si lascia interrogare, perché si sconfina oltre gli schemi e i pregiudizi. Il centurione romano è un pagano, viene da un’altra cultura, viene da un modo di pensare diverso, ma si lascia interrogare da quello che vede. Riconosce la verità, anche se deve andare controcorrente, anche se probabilmente ne pagherà le conseguenze, anche se dovrà entrare in un modo nuovo di vedere il mondo: “Veramente quest’uomo era giusto!” (Lc 23,48).

Si può tornare a casa anche perché non si è più capaci di sperare. Si torna a casa perché sembra che tutto sia finito. Si torna a casa dopo aver fatto tutto quello che si doveva. Giuseppe d’Arimatea è un uomo coraggioso e diligente. Chiede il corpo di Gesù, lo depone dalla croce, lo avvolge in un lenzuolo, lo mette in un sepolcro. Abbiamo fatto quello che dovevamo fare, ora possiamo tornare a casa. Chissà con quali sentimenti quest’uomo ha ripreso la via verso casa! 

Qual è veramente la strada per tornare a casa? Le donne alla fine del racconto di Luca osservano, contemplano il sepolcro: sarà quella la casa? Poi tornano indietro per preparare gli aromi e i profumi e si fermano in casa per osservare il riposo: è quella la casa dove tornare? La passione ci lascia allora con questa domanda: qual è veramente la nostra casa, quella verso cui dobbiamo metterci in cammino?

  • Dove sono io in questo racconto della passione?
  • Qual è la strada che devo percorrere per tornare a casa?

Per gentile concessione © ♥ Padre Gaetano Piccolo SJ

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