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commento di Lc 17,26-37, a cura di Daniele Ferron SJ

La speranza vede un difetto nella corazza delle cose.

Paul Valery

Entro nel testo (Lc 17,26-37)

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti. Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano; ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece morire tutti. Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza e avrà lasciato le sue cose in casa, non scenda a prenderle; così, chi si troverà nel campo, non torni indietro. Ricordatevi della moglie di Lot. Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà, ma chi la perderà, la manterrà viva. Io vi dico: in quella notte, due si troveranno nello stesso letto: l’uno verrà portato via e l’altro lasciato; due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l’una verrà portata via e l’altra lasciata». Allora gli chiesero: «Dove, Signore?». Ed egli disse loro: «Dove sarà il cadavere, lì si raduneranno insieme anche gli avvoltoi».

Mi lascio ispirare

Cosa sono i giorni del Figlio dell’uomo? Che cosa ci vuole dire Gesù oggi con queste immagini di sapore catastrofico? C’è un avvenimento, una manifestazione che deve avvenire. C’è qualcosa che sarà svelato che ora non conosciamo. Questo è chiaro.

Gli uomini dei giorni di Noè o Sodoma, che l’Antico Testamento presenta come peccatori, Gesù di per sé non li descrive mentre compiono azioni malvagie. Fanno la loro vita: mangiano, bevono, comprano e così via. Però all’improvviso arriva qualcosa che non si aspettano, per cui non erano preparati, che li spazza via. Fondamentalmente non erano uomini attenti, e questo purtroppo ha giocato a loro sfavore. Gesù non dà una chiave esplicita, però un primo insegnamento che si potrebbe trarre da questo racconto è la vigilanza.

Ma in definitiva a che cosa? O a chi? Quando verrà il Figlio dell’uomo si salverà non chi cerca di fuggire, ma chi accoglierà questa venuta attesa, nel momento e nel luogo in cui si trova. E, infine, l’immagine truce di queste coppie di persone portate via e lasciate. Qual è il criterio che sancisce che di due donne, apparentemente nella stessa situazione, una venga portata via e salvata, l’altra lasciata morire?

Forse un filo che si può intravedere è la speranza: in mezzo agli eventi più o meno drammatici della vita, il cristiano sa che la contingenza delle situazioni non ha l’ultima parola. La speranza è sapere che esiste una verità più profonda, un Amore grande che ci ha preceduto.

Nel concreto questo non ci toglie i problemi, ma ci salva, perché ci rende vigilanti e capaci di cogliere, nella semplicità o nella complessità delle nostre esistenze, la presenza attesa di Dio. Presenza che non necessariamente sta in eventi prodigiosi, ma in quei gesti d’amore ricevuti o dati che sono segni concreti che salvano. A volte un sorriso o una parola salvano una vita, anche fisicamente. Gesù quindi ci invita a sperare, che non è un’attesa vuota per il cristiano, ma un essere protesi verso qualcosa già presente, anche se non del tutto, nelle nostre vite, ma quel tanto che basta per salvarle veramente.

Daniele Ferron SJ

fonte © GET UP AND WALK


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