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Commento al Vangelo del 9 marzo 2025

Gesù fu guidato dallo Spirito nel deserto e tentato dal diavolo.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 4,1-13
 
In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l’uomo"».
Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto"».
Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gèttati giù di qui; sta scritto infatti: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano"; e anche: "Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra"». Gesù gli rispose: «È stato detto: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo"».
Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Parola del Signore.

In tentazione

Roberto Pasolini

In Quaresima ci esponiamo, volontariamente, all’indispensabile processo della prova e della tentazione. Lo facciamo seguendo l’esempio del Signore Gesù, che dopo il suo battesimo si è lasciato guidare «dallo Spirito nel deserto per quaranta giorni, tentato dal diavolo» (Lc 4,1-2) per scegliere di essere un Messia pienamente solidale con la nostra umanità, segnata dal fraintendimento del limite e ferita dal veleno del peccato. Il racconto delle tentazioni di Gesù, scritto da Luca, potrebbe apparire alla nostra sensibilità moderna un po’ mitico e idealizzato. Il serrato dialogo tra Gesù e il diavolo, che si sfidano a colpi di versetti biblici, risulta forse distante dal modo con cui noi ci confrontiamo con l’insidia del male nella nostra interiorità. È necessario, dunque, cogliere l’intenzione comunicativa profonda di questo vangelo, senza fermarsi sulle prime evidenze.
Sta scritto che Gesù rimase «quaranta giorni» nel deserto,

«non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame» (Lc 4,2).

Noi spesso pensiamo al digiuno come una specie di prova fine a se stessa, mentre il vangelo ci fa capire che si tratta di uno strumento in grado di condurci a conoscere quale fame profonda abita il nostro cuore. Infatti, solo dopo quaranta giorni si manifesta nel cuore di Cristo quella velenosa ostilità tra bisogni e realtà che, per suggestione diabolica, può diventare tentazione di autonomia. La Quaresima non è un tempo in cui, a denti stretti, proviamo a offrire a Dio un po’ di sudore per dimostrargli che ci siamo e, soprattutto, che siamo sinceri e forti. Vuole essere piuttosto un’occasione per avvicinarci umilmente al nostro limite e riconoscere in che modo ci siamo abituati a rapportarci a esso. 
Dice il diavolo a Gesù: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane» (4,3). La prima e fondamentale tentazione è trasformare le cose in pane, cioè piegare la realtà ai morsi — talora rabbiosi — della nostra fame, cioè dei nostri bisogni inappagati. Ma Gesù risponde al diavolo:

«Non di solo pane vivrà l’uomo» (Lc 4,4).

Il Signore non condanna il bisogno di mangiare, rivendica invece la presenza di un’altra fame che dobbiamo imparare ad ascoltare e a risolvere.
La Quaresima non vuole introdurre artificiali sospetti dentro quei naturali bisogni che compongono il nostro vivere quotidiano, ponendoci impossibili domande. Il conflitto tra desiderio e realtà, in termini generali, non esiste: la realtà è buona e sufficiente, sono invece i nostri appetiti che hanno bisogno di essere riconsiderati, perché (troppo) spesso ci sentiamo autorizzati a nutrirci male e disordinatamente, desiderando ardentemente quello che non c’è, oppure tentando di prenderci quelle cose che la Provvidenza di Dio non ha riservato a noi. Per questo i gesti di mortificazione e di penitenza si possono solo intendere — e praticare — come tentativi non di fuggire dalla nostra condizione, ma di tornare alla verità di noi stessi e alla memoria del disegno d’amore che Dio ha per noi e per tutti:

«Il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente e con braccio teso» (Dt 26,8).

«Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato» (Lc 4,13). La Quaresima è un tempo limitato, perché la prova della nostra umanità avviene entro precisi confini. Non si soffre all’infinito e non si è messi indefinitamente in crisi dalla Provvidenza di Dio. Anche questo è un segno del suo amore di Padre. Inoltre, per noi cristiani qualsiasi deserto non è mai terra arida senz’acqua. Anche nei momenti più bui e solitari, sappiamo che «vicino» a noi è sempre la «Parola» di Dio, sulla «bocca» e nel «cuore» (Rm 10,8). Perché se con la bocca proclamiamo: «Gesù è il Signore!» e con il cuore crediamo che «Dio lo ha risuscitato dai morti» (10,9), saremo salvi. Il nostro volto, con la sua vita e la sua morte, rimarrà «al riparo dell’Altissimo e passerà la notte all’ombra dell’Onnipotente» (Salmo responsoriale).

Leggiamo insieme la meditazione di Padre Gaetano Piccolo SJ

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