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Commento al Vangelo del 28 febbraio 2025

L’uomo non divida quello che Dio ha congiunto.

Dal Vangelo secondo Marco
Mc 10,1-12

In quel tempo, Gesù, partito da Cafàrnao, venne nella regione della Giudea e al di là del fiume Giordano. La folla accorse di nuovo a lui e di nuovo egli insegnava loro, come era solito fare.
Alcuni farisei si avvicinarono e, per metterlo prova, domandavano a Gesù se è lecito a un marito ripudiare la propria moglie. Ma egli rispose loro: «Che cosa vi ha ordinato Mosè?». Dissero: «Mosè ha permesso di scrivere un atto di ripudio e di ripudiarla».
Gesù disse loro: «Per la durezza del vostro cuore egli scrisse per voi questa norma. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto».
A casa, i discepoli lo interrogavano di nuovo su questo argomento. E disse loro: «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei; e se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio».

Parola del Signore. 

Le buone relazioni

Roberto Pasolini

Oggi le Scritture riproducono in stereofonia un sapiente inno alle «buone relazioni» (Sir 6,5). Lo splendido intreccio del discorso di Gesù ben Sirach sull’amicizia e del Signore Gesù sul matrimonio sono un perfetto ‘manuale d’amore’, che ci ricorda quanto sia necessario accogliere la dimensione dell’affettività sia come dono, sia come compito. 
La prima notizia che viene a turbare un certo modo ingenuo e diffuso di concepire l’amore emerge con crescente chiarezza dalla riflessione del Siracide. Il sapiente insegna a gestire il bisogno di relazioni – che abita profondamente il cuore di ciascuno – con prudenza:

«Se vuoi farti un amico, mettilo alla prova e non fidarti subito di lui» (Sir 6,7).

Le motivazioni, a ben pensarci, sono abbastanza ovvie e la lista potrebbe anche estendersi, oltre la fantasia del Siracide: «C’è infatti chi è amico quando gli fa comodo, ma non resiste nel giorno della tua sventura. C’è anche l’amico che si cambia in nemico e scoprirà i vostri litigi a tuo disonore» (6,8-9). La perenne validità di queste raccomandazioni nasce e trova conferma dall’esperienza che ciascuno matura avventurandosi nella fragile e indispensabile sfera degli affetti umani. Eppure, per quanto risaputo e ragionevole, il principio della gradualità stenta a radicarsi negli atteggiamenti con cui gestiamo i nostri rapporti. Con estrema, eccessiva facilità ci buttiamo dentro le relazioni con immatura impulsività, per poi gustare tutta l’amarezza della delusione, quando siamo costretti a riconoscere che, in realtà, non avevamo trovato alcun «tesoro» (6,14), ma solo l’opportunità di un commercio conveniente.  
La necessità di mettere alla prova la qualità delle relazioni d’amore appare in modo indiscutibile quando a volersi bene sono un uomo e una donna. Ieri come oggi, emerge nel cuore di chi vive questa esperienza il dubbio se sia davvero possibile portarla avanti fino in fondo, oppure se a un certo punto non sia più logico, quantomeno «lecito a un uomo ripudiare la propria moglie» (Mc 10,2). Il Signore Gesù osserva il problema da un punto di vista privilegiato, «dall’inizio della creazione» (10,6), e rintraccia l’unico sogno di Dio:

«e i due diventeranno una carne sola» (Mc 10,8).

Se l’amore necessita prudenza nel suo momento iniziale, dopo non può che realizzarsi attraverso l’imprudenza di una donazione totale, irrevocabile. E ciò, se anche fosse un sogno impegnativo, non può che essere davvero l’unico sogno conforme al nostro cuore, anche quando è paralizzato nella sua «durezza» (10,5). Che amore sarebbe quello che, dopo i necessari accertamenti, continua ad avere e a richiedere un «prezzo» (Sir 6,15)?  
Certo, le buone relazioni costano, esigono prudenza e follia, gradualità e definitività. Scegliere di viverle, tuttavia non sembra più di tanto facoltativo. Dal momento che «un amico», un amore «fedele è medicina che dà vita» (6,16), «non c’è misura per il suo valore» (6,15).  

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