Giona, balena

Tempo di lettura: 5 minuti

A questa generazione non sarà dato che il segno di Giona.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 11,29-32
 
In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire:
«Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona. Poiché, come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione.
Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro gli uomini di questa generazione e li condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone.
Nel giorno del  giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona».

Parola del Signore.

Oltre (le minacce)

Roberto Pasolini

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Non appena ricorre nella liturgia il nome di Giona, la nostra memoria biblica ci fa rintracciare i lineamenti di una persona che, solo con molta fatica, ha accettato di essere profeta di un Dio «misericordioso e pietoso, lento all’ira, di grande amore» (Gn 4,2). Conoscendo l’epilogo della sua rassegnata — eppure efficace — predicazione nella città di Nìnive, ci troviamo a pensare che sia esattamente la misericordia l’atteggiamento di Dio che risulta inaccettabile al profeta, ben noto alla tradizione biblica per la sua cocciutaggine. Una lettura attenta del testo ci costringe, però, a riflettere:

«In quel tempo, fu rivolta a Giona questa Parola del Signore: “Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e annuncia loro quanto ti dico”» (Gn 3,1).

Il Signore Dio non comanda a Giona di proclamare la notizia della sua misericordia, ma di rivolgere alla città malvagia solo l’annuncio asciutto e aspro di una solenne minaccia. Questo, del resto, è il mandato del profeta sin dall’inizio del libro: «Àlzati, va’ a Nìnive, la grande città, e in essa proclama che la loro malvagità è salita fino a me» (1,2). Sulla scorta di queste parole, il profeta — probabilmente senza alcun trasporto interiore — si mette a percorrere tutta la città annunciando con brevità di parole l’imminente rischio di morte a cui tutta la popolazione è esposta:

«Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: “Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta”» (Gn 3,4).

La notifica di questa possibile sanzione diventa per Nìnive un segno sufficiente a mettere in moto un grande processo di cambiamento, che passa attraverso un momento penitenziale collettivo a cui tutto il creato sembra partecipare: grandi e piccoli, uomini e animali, i cittadini e il re. Insomma, da una semplice parola — pronunciata pure svogliatamente — scaturisce una conversione esemplare. Niente del genere ha davanti agli occhi il Signore Gesù, mentre le folle sembrano cingerlo con grande entusiasmo:

«In quel tempo, mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: “Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona”» (Lc 11,29).

Forse nessuno di noi definirebbe malvagità la pretesa di un segno, la richiesta di una conferma così necessaria in alcuni passaggi della vita. Soprattutto nella nostra cultura, dove i diritti vengono tutelati con grande disponibilità, senza nemmeno una verifica sul fatto che siano legittimi e indispensabili bisogni. Si tratta di un’acquisizione culturale per certi versi legittima in un tempo che ha posto al centro del suo interesse la persona con tutta la sua complessità emotiva ed esistenziale. Eppure il ruvido atteggiamento di Gesù ci costringe a chiederci se, in fondo a questa attesa, non si nasconda talvolta la pretesa di ricevere quello che, in realtà, tocca a noi dover cercare e scoprire, come hanno fatto gli abitanti di Nìnive:

«Chi sa che Dio non cambi, si ravveda, deponga il suo ardente sdegno e noi non abbiamo a perire!» (Gn 3,9).

Di fronte alle minacce — anche quelle di Dio — e ai sensi di colpa — di cui abbiamo sempre piene le sporte — la Quaresima ci annuncia che c’è un cielo paziente da (ri)scoprire e non solo un vittimismo in cui ripiegarci. La conversione, in fondo, è sempre da intendersi come un movimento che solo noi possiamo compiere con la grazia del Signore. Perché solo noi siamo chiamati a gustare la gioia che la conversione (a Dio) riserva: riconoscere che, oltre gli avvertimenti e le sanzioni con cui la vita continuamente ci ammaestra, esiste solo un Dio. Un Padre meraviglioso, disposto a cambiare ogni sua decisione e ogni suo progetto in nostro favore. Disposto a tutto pur di vederci tornare nella vita come persone grate e libere:

«Dio vide le loro opere, che cioè si erano convertiti dalla loro condotta malvagia, e Dio si ravvide riguardo al male che aveva minacciato di fare loro e non lo fece» (Gn 3,10).

fonte © nellaparola.it

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Per gentile concessione © ♥ Padre Gaetano Piccolo SJ


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Eugenio

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