
La Parola del 10 maggio 2025
sabato 10 Maggio 2025
La nuvola grigia e la pace
sabato 10 Maggio 2025Da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna.
Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 6,60-69
In quel tempo, molti dei discepoli di Gesù, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?».
Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono».
Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre».
Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio».
Parola del Signore.
Àlzati
Roberto Pasolini

Alla vigilia della domenica del «buon Pastore» risuona, per i discepoli di ogni tempo e di ogni luogo, lo stesso drammatico interrogativo con cui si conclude il capitolo sesto del vangelo di Giovanni:
«Volete andarvene anche voi?» (Gv 6,67).
Rispondere a questa domanda diventa cruciale se davvero vogliamo perseverare nella sequela del Cristo risorto e, soprattutto, riconoscerne l’odore e l’autorità necessari per proseguire il cammino verso la vita eterna.
In questa occasione, la risposta di Pietro è scevra da qualsiasi stonatura e sembra rappresentare bene il sentire di tutto il gruppo dei Dodici:
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il Santo di Dio» (Gv 6,68-69).
Il riconoscimento della santità di Dio presente in Cristo non può essere ridotto a una dichiarazione di intenti a non revocare la sequela nei momenti di difficoltà, ma esige un passo ulteriore. La reazione di quegli altri discepoli che decidono di tornare indietro «e non andavano più con lui» (6,66) ci offre una chiave per capire dove si radichi l’incapacità di aderire pienamente alla santità di Dio presente nella carne umana del Verbo:
«Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?» (Gv 6,60).
Il lungo discorso sul pane di vita che, prendendo le mosse dal segno dei pani e dei pesci, giunge a proclamare quanta intimità Dio voglia stabilire tra la sua santità e la nostra natura creaturale, risuona duro perché chiede di accogliere una comunione profonda senza annullare una radicale differenza. Offrendoci la sua vita come un pezzo di pane, che si lascia masticare e metabolizzare per dare vita, il Signore Gesù vuole assicurarci che la nostra intimità con la santità di Dio si può esprimere soltanto con la disponibilità ad accogliere l’alterità della sua natura d’amore:
«Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dove era prima?» (Gv 6,61-62).
Il quarto vangelo non riporta il momento dell’ascensione di Gesù al Padre, considerando già il momento della morte in croce come la definitiva ascesa del Verbo di Dio alla destra della gloria del Padre. In questa prospettiva, la santità di Dio appare ancora più chiaramente come quel modo di vivere in cui si è disposti – e felici – di poter affermare la vita dell’altro anziché la propria. Naturalmente ciò implica una capacità di superamento delle logiche dell’egoismo e dell’individualismo, contro cui la nostra umanità si trova a dover combattere senza tregua:
«È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita» (Gv 6,63).
Le immagini della prima lettura ci offrono una pista di approfondimento di quali conseguenze possano determinare, nella vita di un discepolo, l’intuizione della santità di Dio e la disponibilità a entrare in comunione con essa. È proprio lo stesso Pietro a compiere due miracoli, il cui fine ultimo sembra essere sempre la possibilità di rimettersi in piedi e in cammino verso una vita affrancata dalla paralisi della morte. C’è Enèa, «che da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico» (At 9,33), e poi c’è «Tabità» che, in quei giorni, si ammalò e morì» (9,37). A entrambi, dopo aver pregato e fatto memoria del nome santo di «Gesù Cristo», l’apostolo impartisce lo stesso imperativo: «àlzati» (9,34.40).
Queste due guarigioni possono diventare una bella verifica per il nostro cammino pasquale, sulle orme del Risorto e di coloro che, in lui, sono risorti dal peccato. Basterebbe chiederci se stiamo iniziando a guarire dalle nostre malattie più inveterate, e se stiamo imparando a rifarci il letto, cioè a non vivere più in quella sfiducia indolente di chi non ha più speranza nella realtà e fiducia nel prossimo. Ma, soprattutto, possiamo domandarci se stiamo sperimentando dall’alto quella forza di presentarci agli altri agili e viventi come quella «Gazzella» in cui risplende l’efficacia di una vita immersa in Cristo e consegnata ai fratelli:
«abbondava in opere buone e faceva molte elemosine» (At 9,36).
fonte © nellaparola.it
Ascoltiamo insieme
Per gentile concessione © ♥ Padre Gaetano Piccolo SJ
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