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C'era una volta, in un piccolo villaggio ai piedi di una montagna innevata, un appendiabiti di legno di nome Arturo. Arturo non era un appendiabiti qualsiasi, era magico! Poteva far levitare i cappotti, sgualcire le camicie in un lampo e persino lucidare le scarpe con il semplice tocco di un gancio.
Tuttavia, Arturo era anche un po' vanitoso. Adorava essere ammirato per le sue abilità magiche e si pavoneggiava spesso davanti agli altri mobili della casa. Un giorno, arrivò in casa una nuova credenza, grande e imponente, decorata con intarsi dorati e maniglie di ottone lucido.
La credenza era così bella che tutti i mobili si radunarono per ammirarla. Arturo, sentendosi minacciato, cercò di attirare l'attenzione con i suoi trucchi magici. Fece levitare un cappello a cilindro, lo fece roteare nell'aria e poi lo fece atterrare con grazia sulla testa di un vecchio lampadario.
I mobili applaudirono educatamente, ma erano più interessati alle storie che la credenza raccontava dei paesi lontani che aveva visto e delle persone che aveva conosciuto. Arturo era furioso! Nessuno lo stava guardando!
In un impeto di rabbia, decise di fare il suo trucco più audace: avrebbe fatto levitare l'intera credenza. Si concentrò con tutte le sue forze, tirando i suoi ganci con tutta la sua forza magica. Ma la credenza era troppo pesante. Arturo si sforzò e si sforzò, ma non riuscì a muoverla nemmeno di un centimetro. Anzi, con uno scricchiolio di legno, uno dei suoi ganci si spezzò.
Arturo cadde a terra, umiliato e sconfitto. I mobili scoppiarono a ridere e la credenza, con gentilezza, lo aiutò a rialzarsi. Arturo capì finalmente che la vera magia non consisteva nell'essere al centro dell'attenzione, ma nell'aiutare gli altri e condividere i propri doni con generosità.
Da quel giorno in poi, Arturo non si vantò più delle sue abilità. Usò la sua magia per aiutare i mobili della casa con le faccende quotidiane e per rendere la loro vita un po' più facile e divertente. E anche se non era più l'appendiabiti più ammirato del villaggio, era sicuramente il più amato.
In quel tempo, Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due e dava loro potere sugli spiriti impuri. E ordinò loro di non prendere per il viaggio nient’altro che un bastone: né pane, né sacca, né denaro nella cintura; ma di calzare sandali e di non portare due tuniche. E diceva loro: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro». Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse, scacciavano molti demòni, ungevano con olio molti infermi e li guarivano.
Parola del Signore.
La metafora del viaggio
La vita è un grande viaggio durante il quale siamo chiamati continuamente a separarci da noi stessi, a seguire quel desiderio, spesso incerto, che ci anima. Il viaggio inevitabilmente ci trasforma, la vita ci attraversa, gli incontri ci cambiano. C’è una pedagogia nel viaggio, una pedagogia che si riflette nelle consegne affidate da Gesù ai discepoli prima di inviarli, come leggiamo nel testo del Vangelo di questa domenica. Nel tempo, queste consegne sono diventate le caratteristiche dell’antica esperienza spirituale del pellegrinaggio: camminare verso una meta che è prima di tutto radicata dentro se stessi.
Spinti dal desiderio
Il viaggio dunque ci costringe a una separazione, è un invito a lasciare o un’occasione per spezzare i legami con quello che ci sta bloccando, con quello che ci tiene fermi. In genere ciò che spinge a spezzare i legami e a partire è un desiderio. Il viaggio comincia quindi con un desiderio, un desiderio che non è mai completamente chiaro. Il desiderio è sempre incertezza e determinazione insieme. È una spinta spesso incerta, ma efficace per poter cominciare. È per esempio l’esperienza di Abramo, invitato da Dio a lasciare la casa di suo padre e a mettersi in cammino verso una meta non ben definita, eppure è proprio in quel momento che la vita di Abramo finalmente comincia.
Insieme ad altri
Il viaggio non si compie mai da soli. È sempre un’esperienza in qualche modo comunitaria. Gesù manda i discepoli a due a due, perché quello è il principio della comunità. Nel viaggio si condivide, ci si confronta, si decide insieme. È la fatica necessaria per non appropriarsi del viaggio, per non diventarne padroni. I discepoli camminano insieme anche perché ciascuno possa essere testimone per l’altro, è l’unico modo di sostenere e dare autorevolezza alla parola dell’altro: avere un testimone. In due è possibile sostenersi. Il viaggio incontra infatti anche i momenti di scoraggiamento e di sfiducia. Il testo di Marco dice che Gesù cominciò a mandarli, come se quell’azione, iniziata allora, non si fosse mai conclusa. Il pellegrinaggio è la chiamata alla vita che siamo continuamente spinti a percorrere. Sottrarsi al cammino è in qualche modo sottrarsi alla vita.
Occasione di liberazione
Gesù invita i discepoli a non prendere, a non appesantirsi. Possiamo pensare che in questa essenzialità sia compreso un invito a non portare con sé quello che ordinariamente ci appesantisce, ci blocca, ci affatica. Il viaggio è una buona occasione per liberarsi, per spogliarsi della rabbia e del lamento, per prendere fiato rispetto alle relazioni che ci consumano senza generare. Evitare di prendere e di portare con sé diventa anche l’occasione per imparare a chiedere, per lasciare che la vita si prenda cura di me, per scoprire una provvidenza segretamente nascosta nell’ordine delle cose, significa non comportarsi da padroni rispetto alla vita, vuol dire non credersi autosufficienti, ma imparare a non bastare a se stessi, vuol dire ricordarsi di creare uno spazio, una mancanza, dentro cui l’altro possa essere continuamente ospitato.
Le difficoltà del viaggio
Mentre in Matteo e Luca Gesù chiede di non prendere neppure il bastone, in Marco il bastone è l’unica cosa che i discepoli possono portare: secondo alcuni esegeti sarebbe un errore di traduzione, secondo altri indica l’autorevolezza propria dell’insegnamento che Gesù affida ai discepoli, ma forse più semplicemente il bastone è ciò che serve ad allontanare le fiere che si incontrano lungo il cammino, quelle fiere che Marco aveva descritto all’inizio del suo Vangelo, descrivendo l’interiorità che ciascuno incontra nel proprio deserto.
Il viaggio come testimonianza
Il viaggio può essere affrontato solo nella leggerezza, altrimenti lungo la strada si soccombe ai pesi che non abbiamo lasciato. Se le nostre spalle sono appesantite, i piedi si rifiutano di camminare. Ma la povertà è anche il segno della coerenza tra quello che i discepoli annunciano e quello che vivono. Il pellegrinaggio è anche il luogo in cui mediti sullo stile che vuoi per la tua vita, decidi se trascinarti dietro i pesi inutili della vita o se preferisci sperimentare la leggerezza della mancanza. E durante il viaggio decidi anche quale Dio vuoi annunciare, quale immagine di Dio vuoi proporre: l’immagine di un Dio potente e autosufficiente o l’immagine di un Dio mendicante che cammina con l’uomo.
Rifiuti
Il pellegrinaggio di cui parla il Vangelo non è una favola a lieto fine: il Gesù di Marco ricorda anche che il rifiuto è sempre in agguato. Durante il viaggio si incontra chi non è disposto a farci spazio nella sua vita, chi ha paura di condividere, chi è stato ferito o ingannato dai pellegrini precedenti, chi si sente messo in questione da quell’invito al cambiamento che di per sé il pellegrino suggerisce. Il viaggio ci allena ad accogliere i fallimenti e le porte chiuse che inevitabilmente fanno parte della vita.
Rileggere l’esperienza
Alla fine di quel pellegrinaggio, alla fine di ogni pellegrinaggio, ci sarà un tempo di rilettura: i discepoli si raccoglieranno intorno a Gesù e impareranno a guardare ciò che è avvenuto, sfogliando l’album dei ricordi che hanno conservato nella memoria del cuore. A volte invece siamo indotti a passare da un’esperienza all’altra senza fermarci a raccogliere il frutto di quello che abbiamo vissuto. Preferiamo archiviare traguardi piuttosto che scendere nella profondità dell’esperienza. E invece deve esserci un tempo, alla fine del viaggio, in cui finalmente ci si ferma a rileggere l’esperienza per poi ripartire.
Leggersi dentro
– Quali sono le cose superflue che oggi il Signore ti chiede di lasciare per seguirlo meglio?
Torna dunque, Israele, al Signore, tuo Dio, poiché hai inciampato nella tua iniquità. Preparate le parole da dire e tornate al Signore; ditegli: «Togli ogni iniquità, accetta ciò che è bene: non offerta di tori immolati, ma la lode delle nostre labbra. Assur non ci salverà, non cavalcheremo più su cavalli, né chiameremo più "dio nostro" l'opera delle nostre mani, perché presso di te l'orfano trova misericordia». «Io li guarirò dalla loro infedeltà, li amerò profondamente, poiché la mia ira si è allontanata da loro. Sarò come rugiada per Israele; fiorirà come un giglio e metterà radici come un albero del Libano, si spanderanno i suoi germogli e avrà la bellezza dell'olivo e la fragranza del Libano. Ritorneranno a sedersi alla mia ombra, faranno rivivere il grano, fioriranno come le vigne, saranno famosi come il vino del Libano. Che ho ancora in comune con gli idoli, o Èfraim? Io l'esaudisco e veglio su di lui; io sono come un cipresso sempre verde, il tuo frutto è opera mia». Chi è saggio comprenda queste cose, chi ha intelligenza le comprenda; poiché rette sono le vie del Signore, i giusti camminano in esse, mentre i malvagi v'inciampano.
Parola di Dio.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 50 (51)
R. La mia bocca, Signore, proclami la tua lode.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità. Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. R.
Tu gradisci la sincerità nel mio intimo, nel segreto del cuore m'insegni la sapienza. Aspergimi con rami d'issòpo e sarò puro; lavami e sarò più bianco della neve. R.
Crea in me, o Dio, un cuore puro, rinnova in me uno spirito saldo. Non scacciarmi dalla tua presenza e non privarmi del tuo santo spirito. R.
Rendimi la gioia della tua salvezza, sostienimi con uno spirito generoso. Signore, apri le mie labbra e la mia bocca proclami la tua lode. R.
Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.
Quando verrà lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. (Gv 16,13a;14,26d)
Alleluia.
Il Vangelo del 12 luglio 2024
Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro.
In quel tempo, disse Gesù ai suoi apostoli: «Ecco: io vi mando come pecore in mezzo a lupi; siate dunque prudenti come i serpenti e semplici come le colombe. Guardatevi dagli uomini, perché vi consegneranno ai tribunali e vi flagelleranno nelle loro sinagoghe; e sarete condotti davanti a governatori e re per causa mia, per dare testimonianza a loro e ai pagani. Ma, quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa direte, perché vi sarà dato in quell'ora ciò che dovrete dire: infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi. Il fratello farà morire il fratello e il padre il figlio, e i figli si alzeranno ad accusare i genitori e li uccideranno. Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato. Quando sarete perseguitati in una città, fuggite in un'altra; in verità io vi dico: non avrete finito di percorrere le città d'Israele, prima che venga il Figlio dell'uomo».
Carissimo Figlio in Cristo, il dolce Gesù, io, Caterina, la serva e la schiava dei servi di Gesù Cristo, vi scrivo nel suo sangue prezioso, col desiderio di vedervi fra i veri cavalieri pronti a dare la vita per Gesù Crocifisso. Voi siete nel campo di battaglia di questa vita tenebrosa, dove siamo continuamente di fronte ai nemici. Il mondo ci perseguita con ricchezze, onori, rispettabilità; ci fa credere che sono solidi e duraturi, mentre scompaiono e passano come il vento. Il demonio ci attacca con le sue tentazioni, facendoci insultare e pensare a noi per distoglierci dalla carità al prossimo; poiché appena perdiamo l'amore, perdiamo la vita. La carne ci tormenta a causa della sua fragilità e delle sue pulsioni per ostacolarci nella purezza; poiché senza purezza siamo senza Dio. I nemici non dormono mai, sono sempre lì a perseguitarci e Dio lo permette per darci sempre l'occasione di meritare e per toglierci dal sonno della negligenza. Sapete che l'uomo che si sente attaccato dai nemici ha cura di trovare i mezzi per difendersi, perché vede che, se dormisse, sarebbe in pericolo di morte. Anche Dio ce lo fa sentire affinché ci affrettiamo a prendere le armi dell'odio e dell'amore. L'odio chiude al vizio la porta del consenso, resistendo ai nemici e detestandoli con tutte le forze; e apre la porta alle virtù, aprendo le braccia dell'amore per riceverle in fondo all'anima con grande ardore. Vedete quanto è buono, sommamente buono, che i nemici non prevalgano su di noi. Non dobbiamo e non possiamo temere nulla se vogliamo fortificarci dicendo: possiamo tutto per Gesù Crocifisso. Cosa deve temere l'anima se ella mette la sua speranza nel suo Creatore?
PAROLE DEL SANTO PADRE
Non si può evangelizzare soltanto con la mente o soltanto con il cuore o soltanto con le mani. Tutto coinvolge. E, nello stile, l’importante è la testimonianza, come ci vuole Gesù. Dice così: «Io vi mando come pecore in mezzo a lupi» (v. 16). Non ci chiede di saper affrontare i lupi, cioè di essere capaci di argomentare, controbattere e difenderci: no. Noi penseremmo così: diventiamo rilevanti, numerosi, prestigiosi e il mondo ci ascolterà e ci rispetterà e vinceremo i lupi: no, non è così. No, vi mando come pecore, come agnelli – questo è l’importante. Se tu non vuoi essere pecora, non ti difenderà il Signore dai lupi. Arrangiati come puoi. Ma se tu sei pecora, stai sicuro che il Signore ti difenderà dai lupi. Essere umili. Ci chiede di essere così, di essere miti e con la voglia di essere innocenti, essere disposti al sacrificio; questo infatti rappresenta l’agnello: mitezza, innocenza, dedizione, tenerezza. E Lui, il Pastore, riconoscerà i suoi agnelli e li proteggerà dai lupi. Invece, gli agnelli travestiti da lupi vengono smascherati e sbranati. Un Padre della Chiesa scriveva: «Finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi saremo sconfitti, perché saremo privi dell'aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli» (S. Giovanni Crisostomo, Omelia 33 sul Vangelo di Matteo). (Udienza generale, 15 febbraio 2023)