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Pensavo fosse la fine!

Pensavo fosse la fine! Vivere un nuovo inizio

Commento al Vangelo del 12 maggio 2024

Ascensione del Signore – anno B

Pensiamo, ora qui in terra, che siamo già contati in cielo.
Allora deporremo la carne mortale,
ora deponiamo la vecchiezza del cuore.
Facilmente il corpo sarà elevato nell’alto dei cieli
se il peso dei peccati non opprime lo spirito

Sant’AgostinoDiscorso 263/A, 2

Fine o inizio?

La nostra vita è segnata da passaggi, attraverso i quali entriamo in situazioni nuove. Il passato va superato per poter vivere pienamente il presente. La fine non è mai solo la fine, ma è sempre anche un nuovo inizio.

L’accostamento della conclusione del Vangelo di Marco e dell’inizio degli Atti degli Apostoli ci permette di contemplare questa dinamica: nel Vangelo infatti Gesù prende congedo dai discepoli, è la fine di un tempo significativo e fondamentale per la loro vita, è un momento segnato da raccomandazioni importanti, come avviene sempre quando si conclude un’esperienza, i discepoli sono infatti invitati a restare a Gerusalemme, viene chiesto loro cioè di non scappare, ma di affrontare la persecuzione.

L’incipit degli Atti degli Apostoli racconta invece un nuovo inizio, è la nascita della comunità cristiana. Ciò che sembrava solo la fine si sta appunto trasformando in una realtà nuova. In questo caso, ciò che caratterizza le parole di Gesù è l’invito ad andare ad annunciare, proprio per raccontare l’esperienza, è un tempo di apertura e di missione, ma è anche un tempo di responsabilità, occorre ormai mettersi alla prova e portare quello che si è appreso.

Consegna

In entrambi i testi, nel Vangelo e negli Atti, quella che noi chiamiamo ascensione viene resa da un verbo al passivo: fu elevato. La vita di Gesù si conclude con una consegna al Padre. È lui che lo eleva, lo accoglie nel luogo da cui è venuto.

Nell’ascensione possiamo allora anche contemplare il senso di ogni vita: la vita si compie quando diventa consegna al Padre.

Una comunità imperfetta

La comunità che viene inviata per annunciare è una comunità imperfetta, segnata dal cambiamento del numero degli apostoli: non sono più dodici, ma undici. Quel numero dodici che era apparso così significativo per la storia di Israele appare corrotto, debilitato, impoverito. Questa comunità è passata attraverso la prova, ha sperimentato le fughe e i tradimenti.

Proprio per questo è una comunità fragile, ma più autentica, perché conosce i propri limiti. Il Vangelo di Marco precisa infatti che «il Signore agiva con loro». Se apparteniamo a Cristo, siamo sicuri che non saremo da soli!

Parole e segni

I discepoli devono affrontare situazioni impegnative, ma adesso sono pronti, anche se apparentemente da soli, a ripetere quello che Gesù ha compiuto: agiscono, proprio come Gesù, attraverso la Parola e i segni.

Non basta infatti annunciare, ma occorre confermare la Parola con i segni, con i gesti concreti, con la testimonianza, altrimenti le parole restano magari anche belle, seducenti, ma poco efficaci, e con il tempo non funzionano più. Forse è un aspetto che caratterizza anche l’annuncio nel nostro tempo: siamo concentrati a elaborare le parole, ma non ci preoccupiamo molto dei segni che le accompagnano.

Compiti sempre attuali

La missione della Chiesa si rinnova attraverso il tempo. Si tratta di ritradurre in modo nuovo quella missione che Gesù le ha affidato all’inizio: anche noi siamo chiamati a scacciare i demoni, i demoni della violenza e della guerra che generano divisione, i demoni dell’egoismo, i demoni della gelosia e dell’invidia; siamo chiamati a parlare lingue nuove, a trovare cioè modi nuovi per parlare a coloro che non conoscono Cristo; siamo chiamati a non avere paura di afferrare anche i serpenti, cioè di essere oggetto del veleno di coloro che vogliono farci del male, perché se siamo con Gesù nessuno potrà recarci danno; dobbiamo imporre le mani ai malati, dobbiamo cioè portare consolazione ai tanti malati di oggi, che sono malati non solo fisici, ma anche spirituali, molti sono malati di tristezza, malati di solitudine, malati di cattiveria.

Guardare la terra

I discepoli sono infine invitati a non stare a guardare il cielo, perché Gesù non solo ritornerà, ma ritornerà come all’inizio, cioè attraverso l’umanità. Lo abbiamo visto bambino, inerme e fragile. Anche adesso allora dobbiamo continuare a cercarlo e aspettarlo guardando la terra, contemplando l’umanità.

Molti invece vivono in uno sguardo disincantato verso il cielo, dimenticandosi di tutto quello che c’è da fare sulla terra, trascurando tutti coloro a cui Dio ci ha inviato.

Leggersi dentro

  • Qual è il tempo nuovo che il Signore mi sta chiedendo di vivere?
  • Quali segni accompagnano le mie parole nell’annuncio del Vangelo?
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