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Commento al Vangelo di oggi 4 aprile 2025

Cercavano di arrestare Gesù, ma non era ancora giunta la sua ora.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 7,1-2.10.25-30
 

In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo.
Si avvicinava intanto la festa dei Giudei, quella delle Capanne. 
Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi  di nascosto.
Alcuni abitanti di Gerusalemme dicevano: «Non è costui quello che cercano di uccidere? Ecco, egli parla liberamente, eppure non gli dicono nulla. I capi hanno forse riconosciuto davvero che egli è il Cristo? Ma costui sappiamo di dov'è; il Cristo invece, quando verrà, nessuno saprà di dove sia».
Gesù allora, mentre insegnava nel tempio, esclamò: «Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato».
Cercarono allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora.

Parola del Signore.

L'ora

Roberto Pasolini

Mentre i giorni della Quaresima corrono ormai veloci verso il cuore liturgico della Settimana Santa, lo sguardo penetrante dell’evangelista Giovanni si pone – e ci pone – di fronte al cammino del Signore Gesù nel suo evolversi, naturalmente e drammaticamente, verso la consumazione piena del mistero pasquale:

«In quel tempo, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più percorrere la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo» (Gv 7,1).

Se, da una parte, Cristo appare sempre più consapevole di poter vivere la sua donazione d’amore per rivelare al mondo il volto del Padre, dall’altra si rivela essere anche capace di custodire quest’ora così pregnante, in attesa di poterla abbracciare, nella libertà e nel momento opportuno. Questa sfumatura, di avvicinamento graduale al momento decisivo della sua passione, è anticipata da una breve annotazione dell’evangelista:

«Quando i suoi fratelli salirono per la festa, vi salì anche lui: non apertamente, ma quasi di nascosto» (Gv 7,10).

È sorprendente – forse anche un po’ sconcertante – l’immagine di un Dio fatto uomo che si nasconde, nel momento in cui gli uomini cercano di ucciderlo, e che sembra quasi partecipare alla nostra vita di sottecchi, senza potersi manifestare liberamente. Eppure è un’immagine che, scrutata con l’intelligenza del cuore, ci rivela un modo assai delicato con cui il Signore Gesù ama essere «vicino» alla nostra umanità, segnata tragicamente da un «cuore spezzato» (Sal 33,19) e ottenebrato a causa del peccato. Ne abbiamo conferma dal modo con cui, seppur di nascosto, Gesù «parla liberamente» (Gv 7,26) a Gerusalemme, in occasione della festa delle Capanne, durante la quale si ricordavano i prodigi dell’Esodo e si rinnovava in Israele la speranza dell’attesa messianica:

«Certo, voi mi conoscete e sapete di dove sono. Eppure non sono venuto da me stesso, ma chi mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. Io lo conosco, perché vengo da lui ed egli mi ha mandato» (Gv 7,28-29). 

Dal modo con cui Gesù continua, nonostante la crescente avversità nei suoi confronti, a insegnare «nel tempio», possiamo riconoscere una grande libertà, non solo di essere un Messia affrancato dalla tirannia degli esiti, ma pure estremamente libero di non lasciarsi vincolare in alcun modo prima di aver potuto decidere fino a che punto consegnarsi nelle nostre mani:

«Cercavano allora di arrestarlo, ma nessuno riuscì a mettere le mani su di lui, perché non era ancora giunta la sua ora» (Gv 7,30).

Quando cerchiamo di spingere in profondità i nostri rapporti d’amore, scopriamo di poter essere tutti molto ingenui, improvvisando misure e ostinazioni sproporzionate alle reali convinzioni del nostro cuore, a cui fanno seguito terribili momenti di chiusura e dolorosi processi di rimozione. Guardando al modo con cui Gesù si sottrae, per potersi consegnare nell’ora opportuna, potremmo dire che l’amore non si può in alcun modo improvvisare, ma si deve preparare, imparando a sfuggire tutte le battaglie che non meritano di essere affrontate. Solo chi sa deludere le aspettative — soprattutto rispetto a se stessi — può arrivare a conoscere il mistero dell’ora in cui ci è chiesto di fare l’esperienza dell’amore più grande. 
Senza questa serena e rocciosa volontà, presto o tardi ci troviamo a indossare i panni del persecutore, quando i profeti di Dio — presenti nella storia quasi sempre nei panni dei poveri e degli ultimi — ci segnalano con la loro stessa vita che il nostro cuore si sta chiudendo nell’insensibilità dell’egoismo, diventando persino aggressivo:

«Tendiamo insidie al giusto, che per noi è d’incomodo e si oppone alle nostre azioni; ci rimprovera le colpe contro la legge e ci rinfaccia le trasgressioni contro l’educazione ricevuta» (Sap 2,12).

Ma l’uomo giusto non ha timore di essere ostacolato nel suo cammino, perché sa bene che la vita è un dono che non va né difeso né conquistato. Solo, umilmente restituito, con ostinata fiducia in colui che ne è amorevole custode:

«Molti sono i mali del giusto, ma da tutti lo libera il Signore. Custodisce tutte le sue ossa: neppure uno sarà spezzato» (Sal 33,20-21).

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