accumulare la carità

Vedendo le folle, ne sentì compassione.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 9,35-3810,1.6-8

In quel tempo, Gesù percorreva tutte le città e i villaggi, insegnando nelle loro sinagoghe, annunciando il vangelo del Regno e guarendo ogni malattia e ogni infermità.
Vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!».
Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità.
E li inviò ordinando loro: «Rivolgetevi alle pecore perdute della casa d’Israele. Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino. Guarite gli infermi, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi, scacciate i demòni. Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».

Parola del Signore.

Risposta

Roberto Pasolini

Le voci del profeta Isaia e del Signore Gesù si intrecciano nella liturgia odierna per offrire una risposta a quel «grido di supplica» che dimora in ciascuno di noi e che, non di rado, più si purifica dalle sue aspettative, più si rinforza nell’attesa di quella «grazia» (Is 30,19) che supera e compie ogni nostro desiderio. L’evangelista Matteo non ha alcun dubbio nel definire «compassione» questa grazia con cui Gesù si pone in relazione al bisogno delle folle

«perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore» (Mt 9,36).

In questo magistero di carità accessibile a tutti, soprattutto a coloro che ne hanno maggiormente bisogno senza forse nemmeno rendersene conto, sembrano realizzarsi le profezie di speranza in cui veniva annunciata la fine del tempo in cui Dio risulta lontano perché non riusciamo a percepirne la cura e la premura nei confronti di quanto accade alla nostra vita:

«Non si terrà più nascosto il tuo maestro; i tuoi occhi vedranno il tuo maestro» (Is 30,20).

Prima di chiamare a sé «i suoi dodici discepoli» per trasmettere loro un «potere» (10,1) di annuncio e di guarigione, Gesù nel vangelo di Matteo (cc. 8–9) compie un vero e proprio ministero di guarigione verso quell’umanità smarrita e ferita, attraverso dieci gesti di compassione che vanno dalla guarigione di un lebbroso (8,1-4) alla liberazione dell’uomo muto e indemoniato (9,32-34). In tal modo, il gruppo dei più intimi amici di Gesù è sollecitato a prendere consapevolezza che non può esserci alcun annuncio di salvezza per gli altri, finché non si fa esperienza di «questa parola» capace di risuonare «dietro» (Is 30,21), ma soprattutto «dentro», il tempo «dell’afflizione» e «della tribolazione» (30,20) che dobbiamo tutti attraversare:

«Questa è la strada, percorretela» (Is 30,21).

La strada che si riapre anche nei momenti più oscuri e dolorosi, lungo il cammino di consapevolezza e di attenzione al mistero della nostra umanità, non può che essere sempre quella dell’incontro con la diversità dell’altro, attraverso cui perveniamo tutti alla condivisione dell’unica speranza di una vita piena. Papa Francesco ricorda in questo nostro tempo alla chiesa che questa strada, nella quale si sperimenta «gratuitamente» (Mt 10,8) l’olio della guarigione e si testimonia l’annuncio della speranza del Vangelo, è necessariamente un «processo» di crescita, in cui è fondamentale il contatto da persona a persona: «Ora che la Chiesa desidera vivere un profondo rinnovamento missionario, c’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano. Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa. Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada» (Evangelii Gaudium, 127). L’annuncio informale, capace di cogliere qualunque circostanza come favorevole all’espansione del Regno e alla dilatazione della speranza, è il balsamo con cui il Signore può guarire «ogni malattia e ogni infermità» (Mt 10,1) perché attesta, anzitutto, il nostro desiderio di stare insieme e la speranza di poter trovare risposta ai grandi interrogativi della vita. E cos’altro può fare Dio, se non prendersi cura di noi, quando stiamo davanti a lui nell’attesa fiduciosa e concorde di una sua «risposta» di grazia?!

«La luce della luna sarà come la luce del sole e la luce del sole sarà sette volte di più, come la luce di sette giorni, quando il Signore curerà la piaga del suo popolo e guarirà le lividure prodotte dalle sue percosse» (Is 30,26).

fonte © nellaparola.it

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