Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?
Dal Vangelo secondo Luca
Lc 14,1-6
Un sabato Gesù si recò a casa di uno dei capi dei farisei per pranzare ed essi stavano a osservarlo. Ed ecco, davanti a lui vi era un uomo malato di idropisìa.
Rivolgendosi ai dottori della Legge e ai farisei, Gesù disse: «È lecito o no guarire di sabato?». Ma essi tacquero. Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò.
Poi disse loro: «Chi di voi, se un figlio o un bue gli cade nel pozzo, non lo tirerà fuori subito in giorno di sabato?». E non potevano rispondere nulla a queste parole.
Parola del Signore.
Anàtema
Roberto Pasolini

L’apostolo Paolo conosce bene il significato delle parole e le sa usare con grande sapienza. Non solo perché è uno scrittore ispirato, ma soprattutto perché ha sperimentato nelle profondità della sua vita la grazia e la bellezza della parola di Dio fatta carne, diventandone sincero testimone e appassionato divulgatore. Nei suoi scritti ciò che colpisce – destando anche un certo turbamento – è il modo con cui la sua personale esperienza emotiva ama tradursi in esortazione apostolica e in messaggio teologico, non sempre facile da decifrare e accogliere. Riflettendo sulla situazione dei suoi connazionali, custodi della rivelazione di Dio eppure incapaci di aprire le porte al suo definitivo compimento in Cristo, Paolo permette al suo intimo tormento di tradursi in parola scritta e comunicata ai cristiani di Roma:
La parola greca anàtema traduce il termine ebraico herem, con cui si designavano nei tempi antichi le cose che dovevano essere «separate», «messe da parte», sia come offerta da compiere per la divinità, sia come oggetti da espungere per una maledizione. Nella lingua ebraica herem può indicare, infatti, la città votata allo sterminio oppure la primizia da offrire a Dio come sacrificio gradito ai suoi occhi. Prospettare per se stesso questo drammatico e ambiguo destino è l’espediente con cui Paolo cerca di affrontare quel «grande dolore» e quella «sofferenza continua» (9,2) che egli nutre nei confronti di quegli «Israeliti» (9,4) i quali, pur avendo i migliori requisiti per accedere alla grazia del Vangelo, restano fuori dai termini della nuova alleanza che il Padre ha stabilito nel dono del suo Figlio. Paolo si dichiara disposto a perdere quanto ha di più caro – il tesoro della sua stessa vita – purché i suoi «fratelli» (9,3) riescano finalmente a ricevere il «vantaggio» del Vangelo, la grazia di Cristo in cui si compiono tutta la speranza e i doni del Primo Testamento: «le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse» (9,4).
L’amore di Cristo ha talmente plasmato e riempito il cuore di Paolo da renderlo docile alla logica di vita della Trinità, dove nessuno preferisce la propria vita rispetto a quella dell’altro, anzi ognuno è felice e libero di poter mettere le esigenze dell’altro davanti alle proprie. Essere discepoli di Cristo significa permettere allo Spirito di condurci fuori da ogni «legislazione» per fare della nostra vita un dono e una dedizione agli altri, senza restare confinati nella paura di evitare il male. È la provocazione che Gesù rivolge ai «dottori della Legge e farisei» (Lc 14,3), in un giorno di sabato, mentre «un uomo malato di idropisìa» se ne sta «davanti a lui» (14,2), chiedendo loro:
Ponendo un interrogativo su ciò che è lecito, Gesù lascia emergere tutto il carattere parziale e relativo della legge, capace solo di stabilire dei confini per arginare la presenza del male, ma non certo in grado di assicurare l’esigenza dell’amore più grande. Le nostre relazioni, invece, hanno bisogno di entrare gradualmente e definitivamente in una logica di gratuità, cioè di esprimersi in gesti, parole e silenzi che si offrono non più perché si debba, ma perché si vuole farlo. Tale è, infatti, il segno di attenzione e guarigione che Gesù offre all’uomo sofferente: «Egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò» (14,4). Il Signore lo compie con grande naturalezza, ma non senza aiutare a riflettere chi è ancora imbrigliato nelle trame del lecito e dell’illecito:
Davanti a «queste parole», anche noi forse non possiamo – né dobbiamo – «rispondere nulla» (14,6). Non c’è più nulla da dire, quando resta tutto da fare, pur di non spegnere – anzi trasmettere – il mistero della carità di Cristo «che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen» (Rm 9,5).
fonte © nellaparola.it
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Per gentile concessione © ♥ Padre Gaetano Piccolo SJ
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