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Commento al Vangelo del 2 dicembre 2024

Molti dall'oriente e dall'occidente verranno nel regno dei cieli.

Dal Vangelo secondo Matteo
Mt 8,5-11
 
In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente». Gli disse: «Verrò e lo guarirò».
Ma il centurione rispose: «Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa».
Ascoltandolo, Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «In verità io vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande! Ora io vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli».

Parola del Signore.

Incamminarsi

Roberto Pasolini

Liberare il grido nascosto nella nostra umanità. Aprire gli occhi e riconoscere di aver ricevuto un potere da esercitare (con tutti e come tutti). Così, attraverso queste provocazioni, è ricominciata ancora una volta l’avventura dell’Avvento. Con l’invito ad aprire gli occhi sulla realtà, perché la salvezza viene e germoglia dalla terra. Ma — potremmo chiederci — dove orientare lo sguardo? Dove dirigere la freccia del nostro occhio stanco e talvolta pure affranto? Il vangelo ci offre un semplice, difficile (s)punto di partenza.

In quel tempo, entrato Gesù in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava e diceva: «Signore, il mio servo è in casa, a letto, paralizzato e soffre terribilmente» (Mt 8,5-6). 

La prima attenzione da ridestare è uno sguardo capace di riconoscere coloro che stanno vivendo dentro una grande sofferenza. Per scorgere questo pezzo di umanità ferita, con tutta probabilità, non è necessario intraprendere grandi viaggi. Proprio nella nostra casa abitano le prime sofferenze di cui dobbiamo imparare a sentirci — per poi anche essere — custodi premurosi. Come fa il centurione nel vangelo, che avrebbe tutto il diritto e il potere di sostituire il servo malato con uno sano. E invece fa un’altra cosa.

« Signore, io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma dì soltanto una parola e il mio servo sarà guarito» (Mt 8,8).

In queste parole — che a buon diritto sono entrate a far parte della liturgia eucaristica — noi scopriamo cosa sta dietro a occhi capaci di compassione: un cuore pieno di fiducia negli altri. Il centurione evita di mettere in imbarazzo Gesù, non costringendolo a entrare nella casa di un pagano (rendendolo così “impuro”). Però si fida profondamente di lui, così come si fida di tutte le persone che sono a lui affidate.

«Pur essendo anch’io un subalterno, ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’! ”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa» (Mt 8,9).

È questa fiducia nella realtà a meritare l’ammirazione e l’esclamazione del Signore Gesù. La fede che abbiamo — o diciamo di avere — in Dio si misura e si verifica attraverso l’attenzione e la fiducia che abbiamo nei fratelli. E la fiducia è espansiva e inclusiva di sua natura. Infatti Gesù, davanti a questa fede così grande, non può che ribadire il sogno di Dio, che già Isaia portava nel cuore e sulle labbra. La luce di Dio risplende per tutto e per tutti. Attendere, dunque, è anche incamminarsi.

«Venite, saliamo sul monte del Signore, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri» (Is 2,3).

Ascoltiamo insieme

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