Gesù e lebbroso

Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 17,11-19

Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea.
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano.
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».

Parola del Signore.

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(In)utili parole
Roberto Pasolini

Dopo il grande annuncio che sapersi riconoscere «servi inutili» è via di profonda libertà, possiamo accogliere con sufficiente apertura di cuore anche l’audace approfondimento contenuto nel vangelo odierno. In realtà, la prima parte del racconto di miracolo ricalca perfettamente le nostre aspettative nei confronti di quello che Dio è e di come la sua potenza deve agire nella nostra vita quando ci rivolgiamo a lui. Luca racconta che, nel suo «cammino verso Gerusalemme» (Lc 17,11), l’ingresso di Gesù in un non precisato villaggio e il suo passaggio in mezzo alla nostra umanità ferita e bisognosa di guarigione suscitano un grido che «dieci lebbrosi» (17,12) sembrano capaci di rivolgere all’unisono, come un vero e proprio coro di voci:

«Gesù, maestro, abbi pietà di noi!»

La reazione di Gesù a questa improvvisa interruzione di silenzio appare fondata non tanto su quello che i lebbrosi dicono, ma sul modo con cui si pongono in evidenza al suo sguardo. L’evangelista annota che Gesù compie il miracolo non «appena li vide» e in una forma molto mediata: «Andate a presentarvi ai sacerdoti» (17,14). Secondo la Legge di Mosè, il momento in cui ci si presentava al sacerdote dopo aver contratto malattie come la lebbra coincideva con quello in cui il corpo era già risanato e doveva soltanto essere certificato tale da una figura autorevole, prima di potersi ricongiungere al popolo. Questi lebbrosi, invece, vengono inviati ad affermare quello che non hanno ancora pienamente sperimentato ma possono sperare che avverrà:

«E mentre essi andavano, furono purificati»

Accade proprio così quando la nostra voce — unita a quella dei nostri fratelli e sorelle — si leva al cielo per invocare l’aiuto che le nostre mani non sanno né possono in alcun modo darsi. Scopriamo che il Signore non solo non è sordo al nostro grido, ma soprattutto è molto sensibile al modo con cui la nostra vita si avvicina alla sua. In maniera estremamente repentina, la sua provvidenza ci soccorre, attraverso parole e indicazioni capaci di restituire vigore ai nostri passi e orientamento al nostro cammino. E noi scopriamo cosa è e come funziona la salvezza, quell’invisibile eppur concretissimo dinamismo che ci sorprende mentre siamo in viaggio per rilanciare la nostra vita in sempre nuovi cammini.
Tuttavia – continua il vangelo – essere purificati nelle ferite non significa ancora essere salvi. Infatti c’è una seconda parte del Vangelo che merita di essere scrutata con attenzione:

«Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un samaritano»

Proprio uno straniero, che meno degli altri avrebbe potuto sentirsi in dovere di tornare indietro per rendere grazie, è capace di cogliere la parte migliore. Non si limita a godere del dono ricevuto, ma si prende anche il volto del Signore per onorarlo con la gioia di essere da lui salvato e guarito. Di fronte a questo manto di gratitudine, il Signore fa un’osservazione piuttosto amara, ma molto necessaria:

«Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono?»

Fino a quando la nostra preghiera si mantiene dentro i confini delle invocazioni collettive, grazie alle quali abbiamo imparato ad avere fiducia nel Dio della vita, la nostra fede è un’esperienza di redenzione solo a metà. Diventa piena e matura quando usciamo dai recinti stretti dei protocolli della formalità e della necessità, per effonderci in gesti di gratitudine liberi, spontanei e caldi. Potremmo dire che solo quando la nostra preghiera diventa «inutile» — cioè svincolata da qualsiasi necessità — la nostra fede comincia a radicarsi sulla roccia della fedeltà di Dio e non sulla sabbia fragile dei nostri estemporanei bisogni o dei nostri oscillanti sentimenti. Allora – solo allora – il Signore Dio ci appare bellissimo, perché assolutamente libero e imparziale:

«Il Signore dell’universo non guarderà in faccia a nessuno, non avrà riguardi per la grandezza, perché egli ha creato il piccolo e il grande e a tutti provvede in egual modo»

fonte © nellaparola.it

Ascoltiamo insieme

Per gentile concessione © ♥ Padre Gaetano Piccolo SJ

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