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Commento al Vangelo del 10 gennaio 2025

Oggi si è compiuta questa Scrittura.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 4,14-22a
 
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, 
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.

Parola del Signore.

Sopra

Roberto Pasolini

Volendo trarre tutte le conseguenze dal mistero dell’Incarnazione, l’apostolo Giovanni sembra non riuscire a trattenere una particolare gioia alla fine della sua indimenticabile lettera. La esprime in termini che siamo soliti utilizzare nel linguaggio sportivo, o in quello politico e militare. Raramente nell’ambito della fede.  

Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede (1Gv 5,4).  

Il Natale del Signore nella nostra carne umana non è stato esercizio di stile o di virtù, affinché noi avessimo l’ultimo — insuperabile — parametro di perfezione con cui misurarci. Il Verbo si è lasciato “concepire” dal grembo della Vergine perché noi potessimo accedere a una nuova generazione, non vincolata dalla carne e del sangue, ma dal desiderio e dal disegno di Dio. Per quanto questo ci sia noto, dimentichiamo di considerarlo in termini di vittoria. Contro un mondo — o meglio un modo di pensare — dove l’amore è considerato vetta irraggiungibile, meta sempre distante.  

Carissimi, noi amiamo Dio perché egli ci ha amati per primo (4,19).

La nostra fede nel mistero del Natale non è una vittoria perché rappresenta la più corretta espressione teologica della rivelazione di Dio. Non si sta dalla parte dei vincitori in quanto detentori di un sapere, ma perché partecipi di una natura nuova e divina. Credere che il bimbo di Betlemme sia il vero segno di luce che manca vuol dire vincere la più terribile battaglia contro le tenebre di questo mondo: quelle che vogliono farci credere di non poter avere l’iniziativa della risposta. Quella positività che il Signore Gesù sembra assumere invece con tanta disinvoltura nella sinagoga di Nazaret.  

«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18).

Le prime parole pronunciate da Gesù per vincere e amare il mondo dichiarano quello che dobbiamo credere, cioè vivere. Sopra di noi non c’è il nulla, né il caos, né l’affanno di un cielo troppo impegnato a far tutti contenti. C’è uno Spirito, eterno, immutabile, invincibile. È l’amore di un Dio contento di poter fare il primo passo. E di insegnare anche a noi a farlo. Senza più dover attendere un’occasione diversa da quella che oggi abbiamo. E siamo.  

Ascoltiamo insieme

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