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Allora sei tornato!

Allora sei tornato! La gioia di poter ricominciare

Commento al Vangelo del 12 gennaio 2025

Battesimo del Signore – anno C

«Quanto l’uomo possiede di verità e di giustizia,
proviene da quella fonte,
di cui dobbiamo essere assetati in questo deserto,
se vogliamo come da alcune gocce di rugiada esserne irrorati
e ristorati durante la nostra peregrinazione,
e così non venir meno nel cammino,
e pervenire là dove la nostra sete sarà placata e saziata»

Sant’Agostino, Omelia 5,1

Mentre Gesù, ricevuto il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 3,15-16.21-22
 
In quel tempo, poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco».
Ed ecco, mentre tutto il popolo veniva battezzato e Gesù, ricevuto anche lui il battesimo, stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento».

Parola del Signore.

La fatica dell’attesa

Le promesse generano attese, ma a volte le promesse sono anche deluse, tradite. È difficile rimanere fedeli e fiduciosi quando il tempo passa e la parola data non trova compimento. Arriva il dubbio, la paura di essere stati dimenticati.

Sembra impossibile che qualcuno, che avevamo quasi ormai dimenticato, torni a casa, come nel quadro di Ilya Repin (1844-1930), intitolato L’inatteso. Un esule torna inaspettato, la madre anziana si alza e gli va incontro, forse l’unica che ancora lo ricorda. I bambini sono sorpresi e un po’ spaventati, la parola muore in gola, non sanno esattamente cosa dire.

Anche il popolo di Israele ha vissuto un’esperienza di attesa, anche noi abbiamo sperimentato il ritorno dell’inatteso.

Una parola di speranza

Il capitolo 40 di quello che conosciamo come Libro di Isaia è l’inizio di un libretto (che arriva fino al cap. 55) che raccoglie le parole di un profeta (a cui viene dato il nome di deutero-Isaia, cioè secondo Isaia) che ha il compito di aiutare il popolo a non smettere di sperare. Si tratta probabilmente di un profeta vissuto al tempo dell’esilio in Babilonia e che ha condiviso la sorte degli esuli.

Quando l’esilio è finito, il popolo si ritrova smarrito. Non sa da dove ricominciare. È bloccato, non trova la forza per rimettersi in cammino. Dopo tanto tempo è difficile credere che un nuovo inizio sia davvero possibile: cosa avrebbero trovato tornando nella loro terra dopo tanti anni? Dove avrebbero trovato la forza di ricominciare da capo? C’è bisogno di una parola che rimetta in movimento. E la prima parola di questo libretto è consolate! Credi a quello che stai vivendo perché Dio non ti ha mai abbandonato! Questa parola è come il grido che un comandante rivolge al suo esercito e che i soldati si ripetono l’un l’altro fino a metterli in cammino.

Costruire una strada

Come avviene anche nella nostra vita, questa parola di consolazione a volte non è sufficiente: ci sono i dubbi, la fatica e lo scoraggiamento che a volte ci invadono e ci deprimono. Anche i reduci dall’esilio non sono convinti, perché non vedono la presenza di Dio, fanno fatica a sperare.

La risposta del profeta è l’invito a costruire una strada! Da una parte è un modo per togliere tutti quegli ostacoli che ci impediscono di vedere il Signore che viene verso di noi: dove non c’è una strada, si fa fatica a riconoscere le tracce perché vengono cancellate dal vento del deserto, dove ci sono le montagne, si fa fatica a vedere quello che c’è dall’altra parte. Ma costruire la strada vuol dire anche credere che qualcuno ci sta venendo incontro: sperare nel Signore è già essere certi di aver ottenuto quello che aspettiamo!

Un nuovo inizio

Si tratta, certo, di un popolo che, tornando nella propria terra, si trova davanti solo macerie, proprio come avviene nella nostra vita quando ci tocca ricominciare dopo che la tempesta ha stravolto e portato via tutto. E davanti alle macerie ci si può avvilire o si può reagire, mettendosi a ricostruire. Il popolo fa fatica a credere che sia davvero possibile ritornare nel proprio paese e poter ricominciare, non ci crede perché questo dono è talmente gratuito che sembra impossibile. Il castigo era stato meritato, ma questa possibilità di un nuovo inizio è una grazia:

«Parlate al cuore di Gerusalemme

e gridatele che la sua tribolazione è compiuta,

la sua colpa è scontata,

perché ha ricevuto dalla mano del Signore

il doppio per tutti i suoi peccati». (Is 40,2)

La promessa si compie

Il Vangelo di Luca riparte proprio da questa attesa del popolo, come a dire che questo atteggiamento ha trovato fino a quel momento solo risposte parziali. Ora finalmente la promessa si compie fino in fondo: Dio ha percorso quella strada e ha raggiunto il suo popolo. Gesù è Colui nel quale il Padre compie per sempre la sua parola. Il tempo dell’attesa è sempre ambiguo e pericoloso, perché possiamo essere tentati di trovare delle scorciatoie quando siamo stanchi di aspettare: poteva essere più facile credere in Giovanni Battista piuttosto che aspettare un altro, era più facile anche perché Gesù parlava di una misericordia gratuita, Giovanni invece proponeva gesti concreti per meritare il perdono.

Dio si compromette

La promessa si compie quando Gesù scende fino in fondo nel nostro peccato e lo prende su di sé: Gesù scende nelle acque dove i peccatori hanno consegnato le proprie colpe. Dio si sporca e si compromette con l’umanità. È un Dio vicino che si confonde con noi. Un Dio che com-prende la nostra umanità.

Il Padre ci assicura che Gesù è Colui nel quale si compie la promessa: è il Figlio amato, nel quale ogni figlio è amato. Gesù è la risposta al nostro profondo desiderio di essere amati. E nulla può rispondere a quel desiderio se non Dio stesso. Tutta la Scrittura attesta che Gesù è Colui che compie le promesse. Lo Spirito scende infatti come una colomba, immagine che attraversa tutta la Scrittura: dalla colomba inviata da Noè alla fine del diluvio, alla colomba che sta nelle fenditure delle rocce, cantata nel Cantico dei Cantici, fino a Giona, il cui nome vuol dire colomba!

È comprensibile se siamo ancora dubbiosi e perplessi: ogni dono gratuito può suscitare all’inizio diffidenza. E allora forse anche per noi la risposta è metterci a costruire la strada: Dio certamente è già in cammino verso di noi!

Leggersi dentro

  • Cosa vuol dire per te oggi costruire una strada al Signore?
  • Quale parola oggi ti mette in movimento e ti aiuta a ricominciare?
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Allora sei tornato!
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Commento al Vangelo del 10 gennaio 2025

Oggi si è compiuta questa Scrittura.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 4,14-22a
 
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, 
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.

Parola del Signore.

Sopra

Roberto Pasolini

Volendo trarre tutte le conseguenze dal mistero dell’Incarnazione, l’apostolo Giovanni sembra non riuscire a trattenere una particolare gioia alla fine della sua indimenticabile lettera. La esprime in termini che siamo soliti utilizzare nel linguaggio sportivo, o in quello politico e militare. Raramente nell’ambito della fede.  

Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede (1Gv 5,4).  

Il Natale del Signore nella nostra carne umana non è stato esercizio di stile o di virtù, affinché noi avessimo l’ultimo — insuperabile — parametro di perfezione con cui misurarci. Il Verbo si è lasciato “concepire” dal grembo della Vergine perché noi potessimo accedere a una nuova generazione, non vincolata dalla carne e del sangue, ma dal desiderio e dal disegno di Dio. Per quanto questo ci sia noto, dimentichiamo di considerarlo in termini di vittoria. Contro un mondo — o meglio un modo di pensare — dove l’amore è considerato vetta irraggiungibile, meta sempre distante.  

Carissimi, noi amiamo Dio perché egli ci ha amati per primo (4,19).

La nostra fede nel mistero del Natale non è una vittoria perché rappresenta la più corretta espressione teologica della rivelazione di Dio. Non si sta dalla parte dei vincitori in quanto detentori di un sapere, ma perché partecipi di una natura nuova e divina. Credere che il bimbo di Betlemme sia il vero segno di luce che manca vuol dire vincere la più terribile battaglia contro le tenebre di questo mondo: quelle che vogliono farci credere di non poter avere l’iniziativa della risposta. Quella positività che il Signore Gesù sembra assumere invece con tanta disinvoltura nella sinagoga di Nazaret.  

«Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18).

Le prime parole pronunciate da Gesù per vincere e amare il mondo dichiarano quello che dobbiamo credere, cioè vivere. Sopra di noi non c’è il nulla, né il caos, né l’affanno di un cielo troppo impegnato a far tutti contenti. C’è uno Spirito, eterno, immutabile, invincibile. È l’amore di un Dio contento di poter fare il primo passo. E di insegnare anche a noi a farlo. Senza più dover attendere un’occasione diversa da quella che oggi abbiamo. E siamo.  

Ascoltiamo insieme

La Parola del 10 gennaio 2025

Leggi e ascolta il Vangelo e la Parola del 10 gennaio 2025

10 gennaio dopo l'Epifania

Prima Lettura

Chi ama Dio, ami anche il suo fratello.

Dalla prima lettera di san Giovanni apostolo
1Gv 4,19-1-4

Carissimi, noi amiamo Dio perché egli ci ha amati per primo. Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello.
Chiunque crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato.
In questo conosciamo di amare i figli di Dio: quando amiamo Dio e osserviamo i suoi comandamenti. In questo infatti consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi.
Chiunque è stato generato da Dio vince il mondo; e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede.

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 71 (72)

R. Ti adoreranno, Signore, tutti i popoli della terra.

O Dio, affida al re il tuo diritto,
al figlio di re la tua giustizia;
egli giudichi il tuo popolo secondo giustizia 
e i tuoi poveri secondo il diritto. R.

Li riscatti dalla violenza e dal sopruso, 
sia prezioso ai suoi occhi il loro sangue. 
Si preghi sempre per lui,
sia benedetto ogni giorno. R.

Il suo nome duri in eterno,
davanti al sole germogli il suo nome.
In lui siano benedette tutte le stirpi della terra 
e tutte le genti lo dicano beato. R.

Acclamazione al Vangelo

Alleluia, alleluia.

Il Signore mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,
a proclamare ai prigionieri la liberazione. (Cf. Lc 4,18)

Alleluia.

Il Vangelo del 10 gennaio 2025

Oggi si è compiuta questa Scrittura.

Gesù insegna nella sinagoga

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 4,14-22a
 
In quel tempo, Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si diffuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode.
Venne a Nàzaret, dove era cresciuto, e secondo il suo solito, di sabato, entrò nella sinagoga e si alzò a leggere. Gli fu dato il rotolo del profeta Isaìa; aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto:
«Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l’unzione
e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, 
a proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
a rimettere in libertà gli oppressi
e proclamare l’anno di grazia del Signore».
Riavvolse il rotolo, lo riconsegnò all’inserviente e sedette. Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui. Allora cominciò a dire loro: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca.

Parola del Signore.

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La Parola del 10 gennaio 2025
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Sant'Antonio di Padova (ca 1195 – 1231)

francescano, dottore della Chiesa

Discorsi per le domeniche e le feste dei santi (trad. cb© evangelizo)

"Gesù tese la mano e lo toccò dicendo: "Lo voglio, sii purificato!"

Oh, come ammiro quella mano! Quella "mano del mio Amato, d'oro incastonato di gemme" (Ct 5,14). Quella mano al cui contatto si scioglie la lingua del muto, risorge la figlia di Giairo (Mc 7,33; 5,41) e il lebbroso è reso puro. Quella mano di cui il profeta Isaia dice: "Tutte queste cose ha fatto la mia mano!" (66,2) Tendere la mano è fare un dono. Oh Signore, tendi la tua mano - quella mano che il boia fisserà sulla croce. Tocca il lebbroso e fagli grazia. Tutto ciò che toccherai con la tua mano sarà purificato e guarito. "Gli toccò l'orecchio e lo guarì" dice S. Luca (22,51). Tende la mano per dare al lebbroso il dono della salute. Dice: "Lo voglio, sii guarito" e subito la lebbra scompare; "tutto ciò che vuole egli lo compie" (Sal 113B-ebr 115-, 3). In lui, non c'è distinzione fra volere e compiere. Ora, questa istantanea guarigione Dio la opera ogni giorno nell'anima del peccatore attraverso il ministero del sacerdote. Il sacerdote ha un triplice compito: deve tendere la mano, cioè pregare per il peccatore e aver pietà di lui: deve toccarlo, consolarlo, promettergli il perdono; deve volere questo perdono e darlo con l'assoluzione. Ecco il triplice ministero pastorale che il Signore affida a Pietro quando gli dice per tre volte: "Pasci le mie pecore" (Gv 21,15ss).

PAROLE DEL SANTO PADRE

Questo lieto annuncio, che dice il Vangelo, è rivolto «ai poveri». Spesso ci dimentichiamo di loro, eppure sono i destinatari esplicitamente menzionati, perché sono i prediletti di Dio. Ricordiamoci di loro e ricordiamoci che, per accogliere il Signore, ciascuno di noi deve farsi “povero dentro”. Con quella povertà che fa dire…“Signore ho bisogno di perdono, ho bisogno di aiuto, ho bisogno di forza”. Questa povertà che tutti noi abbiamo: farsi povero da dentro. Si tratta di vincere ogni pretesa di autosufficienza per comprendersi bisognoso di grazia, e sempre bisognoso di Lui. Se qualcuno mi dice: Padre, ma quale è la via più breve per incontrare Gesù? Fatti bisognoso. Fatti bisognoso di grazia, bisognoso di perdono, bisognoso di gioia. E Lui si avvicinerà a te. (Udienza Generale, 25 gennaio 2023)