Non c’è spazio per nessuno!

Non c’è spazio per nessuno! Le ragioni della nostra solitudine

Commento al Vangelo di domenica 15 giugno 2025

Santissima Trinità – Anno C

Tutto quello che il Padre possiede, è mio; lo Spirito prenderà del mio e ve lo annuncerà.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16,12-15

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:
«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.
Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future.
Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà».

Parola del Signore.

«Perciò in questa questione sulla Trinità e la conoscenza di Dio
dobbiamo principalmente indagare che cosa sia il vero amore,
o meglio, che cosa sia l’amore,
perché non c’è amore degno di tal nome che quello vero»
Sant’Agostino, De Trinitate, VIII,vii,10

Amore e solitudine

Per quanto apparentemente connessi tra noi, la cifra del nostro tempo è la solitudine. Viviamo una solitudine che è soprattutto una questione d’amore. Sì, siamo sempre più soli perché sempre meno disposti ad amare. L’amore infatti è esigente, ci chiede di scomodarci, di uscire da noi. L’amore ci chiede di riconoscere che non siamo i soli, c’è anche un altro con le sue esigenze e le sue domande. L’amore ci chiede di non pensare sempre a partire da noi stessi. 

Ci sentiamo soli o lasciamo gli altri da soli. Siamo convinti di bastare a noi stessi: faccio da me! Ci penso io! Intanto penso a me!

E così la tentazione dell’autosalvezza, di pensare prima di tutto a noi stessi, ha gioco facile nella nostra vita. Non ci può essere relazione o amore vero quando il mio interesse è sempre al centro e diventa il criterio per ogni scelta. L’amore al contrario è una comunione che ci espropria, perché il mio io deve imparare a fare spazio a un tu.

La pazienza dell’amore

L’amore è stato riversato nei nostri cuori (cf Rm 5,5), dice san Paolo, ma forse non ce ne siamo accorti o preferiamo metterlo a tacere. Forse perché l’amore ha a che fare anche con la tribolazione, con la sofferenza, la fatica. Ma è proprio quella fatica, ricorda ancora san Paolo che produce la pazienza (cf Rm 5,3). Sì, perché l’amore non si vede solo nei grandi sacrifici eroici, che non sempre la vita ci concede di fare, ma soprattutto nella pazienza del quotidiano, nella sopportazione del peso dell’ordinario. È questa pazienza ordinaria, questo amore feriale, che ci fa crescere nella virtù, ci fa diventare santi e ci permette di non perdere la speranza, cioè di non smarrire il senso della nostra esistenza, che a volte ci sembra così banale. Se stiamo amando, certamente la vita non ci apparirà inutile.

I tempi dell’amore

In una relazione, in cui ci si vuole veramente bene, non sempre ci si può dire tutto e subito. L’amore chiede rispetto, ci sono dei tempi. Non sempre l’altro ha la capacità di portare il peso di quello che vogliamo condividere. Gesù riconosce che i discepoli hanno bisogno di fare un cammino (Gv 16,12). In questa relazione hanno ancora cose da imparare e da capire, ma hanno bisogno di tempo. La storia deve fare il suo cammino.

La fonte dell’Amore

Celebrare la Trinità, dunque, è contemplare l’amore per essere sempre più immagine dell’Amore. La comunione tra il Padre e il Figlio, cioè l’amore, abita nei nostri cuori. È la fonte della nostra capacità di amore. Non saremmo capaci di amare, se l’Amore non abitasse in noi. Non l’amore in generale, ma quello tra il Padre e il Figlio, un amore concreto, fatto di comunione: tutto quello che è mio è suo (cf Gv 16,15). Un amore nel quale non c’è competizione, rivalsa o invidia. L’amore che è lo Spirito che abita in noi. 

L’amore eccede

È chiaro, dunque, che Dio amore non poteva essere una persona isolata, non poteva essere l’atto puro di Aristotele, perché l’amore sta dentro una relazione. Dio Amore non poteva essere solitudine. Non poteva essere neppure solo la relazione tra il Padre e il Figlio, perché l’amore, se è tale, si dona, è eccedenza, non è reciprocità sterile. L’amore tra il Padre e il Figlio si dona nello Spirito a ogni creatura: ne siamo resi partecipi.

Leggersi dentro

  • Cosa ti impedisce di crescere nell’amore?
  • In che modo cerchi di fare spazio all’amore di Dio nella tua vita?

Per gentile concessione © ♥ Padre Gaetano Piccolo SJ

Il Vangelo del giorno
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Non c’è spazio per nessuno!
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Commento al Vangelo del 9 giugno 2025

Ecco tuo figlio! Ecco tua madre!

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 19,25-34

In quel tempo, stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala.
Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé.
Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito.
Era il giorno della Parascève e i Giudei, perché i corpi non rimanessero sulla croce durante il sabato – era infatti un giorno solenne quel sabato –, chiesero a Pilato che fossero spezzate loro le gambe e fossero portati via. Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe all’uno e all’altro che erano stati crocifissi insieme con lui. Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con una lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua.

Parola del Signore.

Eredità preziosa

Luigi Maria Epicoco

“Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé”.

Maria ci viene data non come una tra le tante, ma come l’eredità preziosa che Gesù consegna all’umanità attraverso Giovanni, perché non solo la custodisca ma si lasci amare da Lei così come Lei ha amato Gesù. Sotto la croce diventiamo tutti figli di Maria e questo per espressa volontà di Gesù. Dovremmo domandarci se ci è chiaro che un cristianesimo senza Maria non è solo un cristianesimo più povero, ma è un cristianesimo incompleto. Maria fa parte del minimo sindacale per dirci cristiani. Senza la Sua maternità è difficile riuscire a vivere fino in fondo il Vangelo. La seconda cosa importante di questa pagina nel Vangelo è tutta racchiusa nella sete di Gesù:

“Dopo questo, Gesù, sapendo che ormai tutto era compiuto, affinché si compisse la Scrittura, disse: «Ho sete». Vi era lì un vaso pieno di aceto; posero perciò una spugna, imbevuta di aceto, in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. Dopo aver preso l’aceto, Gesù disse: «È compiuto!». E, chinato il capo, consegnò lo spirito”.

La posizione che Gesù assume davanti all’umanità non è una posizione di autosufficienza. Gesù, il Figlio di Dio si fa bisognoso di ognuno. La Sua sete è sete che può essere estinta solo dal nostro amore. Ma non dobbiamo dimenticare che molto spesso noi corrispondiamo a questa sete con un amore che sa di aceto e non di acqua. Un amore che mortifica e non disseta. È una domanda seria che ci pone il Vangelo: con che amore amiamo Cristo? Non basta parlare di Lui, fare delle cose per Lui, vestirci di Lui per poter anche dire che lo amiamo. È la tenerezza con cui viviamo che dice che non siamo aceto, ma acqua che disseta. Il nostro pensiero, i nostri sentimenti, i nostri stessi atteggiamenti dovrebbero essere tali da poter offrire agli altri un’esperienza viva di Cristo. Noi possiamo dissetare Cristo solo negli altri.

Ascoltiamo insieme

Commento al Vangelo del 7 giugno 2025

Questo è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e la sua testimonianza è vera.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 21,20-25

In quel tempo, Pietro si voltò e vide che li seguiva quel discepolo che Gesù amava, colui che nella cena si era chinato sul suo petto e gli aveva domandato: «Signore, chi è che ti tradisce?». Pietro dunque, come lo vide, disse a Gesù: «Signore, che cosa sarà di lui?». Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi». Si diffuse perciò tra i fratelli la voce che quel discepolo non sarebbe morto. Gesù però non gli aveva detto che non sarebbe morto, ma: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa?».
Questi è il discepolo che testimonia queste cose e le ha scritte, e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera. Vi sono ancora molte altre cose compiute da Gesù che, se fossero scritte una per una, penso che il mondo stesso non basterebbe a contenere i libri che si dovrebbero scrivere.

Parola del Signore.

Seguire

Luigi Maria Epicoco

C’è qualcosa di affascinante e di compassionevole nella persona di Pietro. In lui troviamo riflessi i tipici difetti che ci portiamo tutti addosso, mescolati però con straordinari slanci, generosi, sinceri, immediati, da cuore puro.  Nel Vangelo di oggi ne abbiamo un esempio tipico, per lo meno per la prima parte del suo personaggio. Pietro ha appena finito di parlare di amore e sequela con Gesù Risorto fino a sentirsi dire per tre volte “Pasci le mie pecorelle” ed ecco che con la coda dell’occhio intravede il discepolo Giovanni che li segue, e dice:

«Signore, che cosa sarà di lui?».

Anche Pietro è vittima di quello sport così diffuso tra tutti in cui ci sembra irrinunciabile voler dettare le regole della vita e dell’esperienza degli altri. Spiamo la vita altrui in una sorta di irrefrenabile istinto a mettere in paragone la nostra vita con quella degli altri.

“Gesù gli rispose: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, a te che importa? Tu seguimi»”,

cioè tu abbi come unica preoccupazione quella di seguirmi e non di pensare a Giovanni. Ma in fondo la Bibbia si apre con l’invidia di Caino che spia il fratello Abele e si convince che è prediletto da Dio rispetto a lui. Sarà una ferita del peccato originale che tutti ci portiamo dentro, Pietro compreso. Una ferita di gelosia che si cura solo con una più radicale sequela di Gesù. Solo quando ci concentriamo a farci santi allora smettiamo anche di preoccuparci eccessivamente della vita degli altri. Quanto migliorerebbero le nostre comunità, le nostre esperienze ecclesiali, ma anche i nostri posti di lavoro, o gli ambienti che solitamente viviamo se smettessimo innanzitutto di ragionare come Pietro e sentissimo invece i difetti degli altri o il bene che gli capita come una grande provocazione a farci santi noi. Troppe volte invece l’aria stantia tipica degli ambienti chiusi soffoca persino la bellezza delle parole che Gesù ci ha annunziato nel Vangelo. Il rimprovero che subisce Pietro è un invito a convertirci tutti.  

Ascoltiamo insieme

Ricordati di me!

Ricordati di me! Il desiderio di rimanere con chi amiamo

Commento al Vangelo del 8 giugno 2025

Domenica di Pentecoste – anno C

Lo Spirito Santo vi insegnerà ogni cosa.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 14,15-16.23b-26

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre.
Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto».

Parola del Signore.

«La molteplicità, se non ha la coesione dell’unità,
è origine di divisioni e litigi;
invece una molteplicità indivisa fa un’anima sola»

Sant’Agostino, Discorso 272/B, 2

Quando siamo chiamati ad allontanarci da qualcuno a causa di un viaggio o di eventi che ci costringono a rimanere distanti per lungo tempo, cerchiamo dei modi per tenerci uniti. Pensiamo allora a lasciare qualcosa di noi, qualcosa che possa tenere vivo il ricordo. Oggi forse sentiamo con minore intensità questo problema, visto che i mezzi di comunicazione ci permettono di rimanere in contatto anche a grandi distanze. Possiamo infatti anche viaggiare con più frequenza e ritornare a incontrare le persone che amiamo. Ma in passato non era certamente così: si partiva senza la certezza di vedersi di nuovo. 

Potremmo rileggere le letture della Pentecoste come espressione del desiderio di Dio di rimanere nella comunità e nel cuore di ciascun credente. In entrambi i casi, ci sono delle condizioni che possono essere create per permettere a Dio di essere presente e di rimanere con noi.

Il testo degli Atti degli Apostoli ci dice infatti che si trovavano tutti nello stesso luogo. È la comunione che crea lo spazio per Dio. Essere nello stesso luogo, significa convergere verso lo stesso obiettivo, avere lo stesso sogno, lavorare per lo stesso scopo. Purtroppo, in molti contesti prevale la divisione, l’interesse personale, il tentativo di far contare le proprie ragioni. Non a caso l’evento della Pentecoste è riletto in contrapposizione con l’episodio della torre di Babele. Lì infatti gli uomini erano presi dalla superbia di voler arrivare da soli verso il cielo e, per impedire questa costruzione umana, Dio confonde le lingue. Quando infatti non ci si capisce e si parlano lingue diverse, non si riesce a costruire nulla. Per lavorare insieme, dobbiamo provare a capirci, nonostante le nostre differenze. La Chiesa non nasce da Babele, non è la Chiesa delle grandi costruzioni umane che alla fine risultano vane e inefficaci. La Chiesa nasce da Gerusalemme, nasce da una piccolezza in cui agisce lo Spirito!

La comunità cristiana ha riletto la festa di Pentecoste a partire dai significati che essa aveva nel mondo ebraico. La festa di Pentecoste, o festa delle settimane, era inizialmente la festa delle primizie. Successivamente venne associata alle alleanze che Dio aveva stabilito con il popolo. 

Nella rilettura cristiana, la Pentecoste indica che sta nascendo qualcosa di nuovo, grazie allo Spirito. Il giorno di Pentecoste stava per compiersi, quindi noi siamo ancora dentro questa novità che continua. Lo Spirito genera la Chiesa. E allo stesso tempo c’è una nuova ed eterna alleanza che è stata sancita nel sangue di Cristo, che nel momento della morte ha donato il suo Spirito. 

Questo tema dell’Alleanza lo comprendiamo anche dalle immagini usate per raccontare questo evento, Luca infatti rilegge la Pentecoste sul modello delle teofanie del Sinai: il vento e il fuoco sono il modo in cui Dio si era manifestato a Israele. C’è una storia che continua in modo nuovo, ma è riconoscibile attraverso un linguaggio antico.

Se il libro degli Atti mette in evidenza questa presenza di Dio che rimane nella comunità per mezzo dello Spirito, il Vangelo di Giovanni ci mostra come lo Spirito venga ad abitare nel cuore del credente. Gesù parla infatti di un altro Paraclito, come a dire che il primo è egli stesso. Se il Paraclito è colui che è chiamato accanto per difendere e sostenere, in particolare in un processo, vuol dire che Gesù ha già cominciato a esercitare questa funzione durante la sua vita terrena accanto ai discepoli. Quella funzione quindi non finisce, ma si trasforma. I discepoli sono ancora sostenuti e difesi da Gesù per mezzo dello Spirito santo. Il desiderio di Gesù è infatti di rimanere nel cuore del discepolo.

Anche in questo caso però è il discepolo che è chiamato a creare le condizioni per ospitare questa presenza: l’ospite può anche venire a trovarci, ma è necessario che noi gli apriamo la porta e che ci sia spazio per riceverlo.

Nel cuore del discepolo questo spazio è creato dall’ascolto della Parola. Quando amiamo qualcuno, ascoltiamo la sua Parola, e se ci fidiamo cerchiamo di fare anche quello che ci chiede. Se dunque apriamo la porta, il Padre e il Figlio, uniti nell’amore che è lo Spirito, fanno sosta dentro di noi, prendono dimora, vengono ad abitare in noi. Al contrario, se uno non ascolta la Parola e non la fa, vuol dire che non ama, e dunque il suo cuore resta vuoto, proprio come una casa nella quale l’ospite non può entrare.

Lo Spirito ci aiuta a vivere la relazione con Gesù perché ci ricorda e ci aiuta a capire persino meglio le parole che Gesù ci ha insegnato. Non sempre, infatti, capiamo tutto e bene. E una relazione va approfondita e cresce con il tempo. Anche nella relazione con Dio possiamo crescere e possiamo farlo proprio grazie allo Spirito.

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Commento al Vangelo del 5 giugno 2025

Siano perfetti nell'unità.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 17,20-26

In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Non prego solo per questi, ma anche per quelli che crederanno in me mediante la loro parola: perché tutti siano una sola cosa; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi, perché il mondo creda che tu mi hai mandato.
E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo conosca che tu mi hai mandato e che li hai amati come hai amato me.
Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch'essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo.
Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l'amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro».

Parola del Signore.

La realtà dei fatti

Roberto Pasolini

Accusato «dai Giudei» e messo in «catene» (At 22,30) a «motivo della speranza nella risurrezione dei morti» (23,6), l’apostolo Paolo viene condotto in un sinedrio che appare palesemente segnato da una divisione interna, dal momento che «una parte era di sadducèi e una parte di farisei» (23,6). Essendo anch’egli, in quanto «fariseo, figlio di farisei» (23,6), non certo estraneo alla possibilità di far prevalere logiche di appartenenza a una precisa identità religiosa, rispetto a una sincera apertura verso la ricerca del volto del vero Dio, Paolo decide di approfittare di questa situazione, per dichiarare il cuore dell’annuncio evangelico, attraverso il riferimento alla risurrezione di Cristo. La menzione di questo argomento così spinoso da un punto di vista teologico è sufficiente perché si manifesti quale mancanza di comunione sia presente nell’assemblea dei giudei:

«Appena ebbe detto questo, scoppiò una disputa tra farisei e sadducèi e l’assemblea si divise» (At 23,7).

La rottura e il dissenso che esplodono tra gli esperti di Scritture e di tradizioni religiose, non appena Paolo prova ad affermare non se stesso, ma la gloria del Signore risorto, confermano dove si radichi l’incapacità di conoscere la rivelazione ultima di Dio, per accogliere anche la «dolcezza senza fine» (Sal 15,11) del suo amore. I farisei e i sadducèi sono maggiormente preoccupati di difendere il «grande chiasso» (At 23,9) delle loro posizioni dottrinali, piuttosto che aprirsi e accogliere la definitiva testimonianza di Dio che si è rivelata nella carne umana del suo Figlio. La polemica innescata dal tema della risurrezione è tale «che il comandante» decide di «portarlo via e ricondurlo nella fortezza» (23,10), creando l’occasione perché il fariseo convertito al Vangelo maturi una rinnovata comunione con il Signore e una più consapevole assunzione del suo mandato apostolico. Ogni volta che le circostanze della vita nuova in Cristo ci espongono al rifiuto e al fallimento, il Signore trova il modo di venirci «accanto» per ricordarci che non è più possibile vivere una sequela al Vangelo che non sia, al contempo, testimonianza della Pasqua di salvezza:

«Coraggio! Come hai testimoniato a Gerusalemme le cose che mi riguardano, così è necessario che tu dia testimonianza anche a Roma» (At 23,11).

Manifestare agli altri il volto di quel Padre dinanzi al quale abbiamo iniziato a riconoscerci figli, anche quando il volto dei fratelli può mostrarsi indifferente o minaccioso, è la sola via per sprofondare nel desiderio che abita il cuore del Figlio ed è partecipato a quanti sono disposti a vivere sotto la guida del suo Spirito. La preghiera che Gesù rivolge al Padre, non solo per noi ma anche «per quelli che crederanno» anche mediante la nostra «parola» (Gv 17,20), si conclude con l’ardente desiderio che la comunione d’amore da cui scaturisce la vita divina possa diventare un universale luogo di convegno e di fraternità, dove si può imparare a restare uniti mediante un vincolo che oltrepassa – senza mortificare – ogni differenza e ogni indifferenza:

«… perché tutti siano una cosa sola; come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi» (Gv 17,21).

La «realtà dei fatti» (At 22,30), di cui il tempo pasquale continua a renderci curiosi e appassionati testimoni, è il fatto che Cristo non è soltanto morto e risorto. Nemmeno che tanti uomini e tante donne abbiano creduto e accolto la vita del Vangelo, dando origine nel mondo alla testimonianza della Chiesa, la comunità dei figli di Dio. La «realtà dei fatti» originata dal mistero pasquale è che Dio desidera non soltanto rivelarci chi egli è e quale sia la verità del suo cuore. Egli desidera persino introdurci in una comunione di vita dove ogni divisione e ogni solitudine sono vinte per sempre e per tutti:

«Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo» (Gv 17,24).

Ascoltiamo insieme

Udienza Generale del 4 giugno 2025

Udienza Generale del 4 giugno 2025 di Papa Leone XIV

Ciclo di Catechesi – Giubileo 2025.

Gesù Cristo nostra speranza. II. La vita di Gesù. Le parabole.

8. Gli operai nella vigna. «E disse loro: “Andate anche voi nella vigna”» (Mt 20,4)

Cari fratelli e sorelle,

desidero fermarmi ancora su una parabola di Gesù. Anche in questo caso si tratta di un racconto che nutre la nostra speranza. A volte infatti abbiamo l’impressione di non riuscire a trovare un senso per la nostra vita: ci sentiamo inutili, inadeguati, proprio come degli operai che aspettano sulla piazza del mercato, in attesa che qualcuno li prenda a lavorare. Ma a volte il tempo passa, la vita scorre e non ci sentiamo riconosciuti o apprezzati. Forse non siamo arrivati in tempo, altri si sono presentati prima di noi, oppure le preoccupazioni ci hanno trattenuto altrove.

La metafora della piazza del mercato è molto adatta anche per i nostri tempi, perché il mercato è il luogo degli affari, dove purtroppo Leggi altro...

Il video

https://youtu.be/e4DYWSptZao?si=-vH5WpSFT9mR9swX
Udienza Generale 04 giugno 2025- Papa Leone XIV

Commento al Vangelo del 4 giugno 2025

Siano una cosa sola, come noi.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 17,11b-19

In quel tempo, [Gesù, alzàti gli occhi al cielo, pregò dicendo:]
«Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi.
Quand'ero con loro, io li custodivo nel tuo nome, quello che mi hai dato, e li ho conservati, e nessuno di loro è andato perduto, tranne il figlio della perdizione, perché si compisse la Scrittura. Ma ora io vengo a te e dico questo mentre sono nel mondo, perché abbiano in se stessi la pienezza della mia gioia. Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo, come io non sono del mondo.
Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno. Essi non sono del mondo, come io non sono del mondo. Consacrali nella verità. La tua parola è verità. Come tu hai mandato me nel mondo, anche io ho mandato loro nel mondo; per loro io consacro me stesso, perché siano anch'essi consacrati nella verità».

Parola del Signore.

Essere una cosa sola

Luigi Maria Epicoco

“Padre santo, custodiscili nel tuo nome, quello che mi hai dato, perché siano una sola cosa, come noi. (…) Io ho dato loro la tua parola e il mondo li ha odiati, perché essi non sono del mondo”.

Gesù ha piena consapevolezza che noi giochiamo nella storia come protagonisti e non come pedine. Con l’incarnazione Egli è sceso in campo, ma dopo gli eventi della passione, morte e resurrezione, Egli esce di nuovo dal campo dello spazio e del tempo, e lascia noi come Suo prolungamento nella storia. E proprio perché siamo ancora nel cuore della partita, abbiamo bisogno di essere custoditi. E che cos’è che ci custodisce? Essere una cosa sola, così come Lui è una cosa sola con il Padre. È questo il motivo per cui ci rivolgiamo al male chiamandolo diavolo. La parola diavolo significa “colui che divide”. È da divisi che noi siamo deboli e perdenti. In questo senso l’opera del male è sempre quella di darci motivi per dividerci, per contrapporci, per metterci uno contro l’altro. Ciò che ci salva è ritrovare un’unità. Una famiglia unita è una famiglia più forte. Una famiglia divisa genera solo altri problemi. Due amici uniti sono due amici forti, due amici divisi sono solo due potenziali nemici. Una Chiesa unita è una Chiesa forte, una Chiesa divisa è la più grande cattiva testimonianza che possiamo dare al mondo. Ma ci verrebbe da dire che forse dobbiamo trovare un modo per fuggire dalla storia, per trovare un posto dove nasconderci in attesa che tutto finisca, ma anche questa è una tentazione. Un cristiano non si mette mai fuori dalla partita. È Gesù che ce lo chiede:

“Non prego che tu li tolga dal mondo, ma che tu li custodisca dal Maligno”.

Il Signore non ci tira fuori dalle dinamiche della storia, ci dà solo la possibilità di attraversarla da consacrati nella verità. E ciò significa che siamo chiamati a stare nella storia mostrando una logica completamente diversa. Capire in che cosa consiste questa “diversità” cristiana e imparare a viverla con umiltà senza vigliaccheria o fanatismo, è l’impegno vero di oggi.     

Ascoltiamo insieme

Commento al Vangelo del 3 giugno 2025

Padre, glorifica il Figlio tuo.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 17,1-11a

In quel tempo, Gesù, alzàti gli occhi al cielo, disse:
«Padre, è venuta l'ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato.
Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio, e colui che hai mandato, Gesù Cristo. Io ti ho glorificato sulla terra, compiendo l'opera che mi hai dato da fare. E ora, Padre, glorificami davanti a te con quella gloria che io avevo presso di te prima che il mondo fosse.
Ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai dato dal mondo. Erano tuoi e li hai dati a me, ed essi hanno osservato la tua parola. Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro. Essi le hanno accolte e sanno veramente che sono uscito da te e hanno creduto che tu mi hai mandato.
Io prego per loro; non prego per il mondo, ma per coloro che tu mi hai dato, perché sono tuoi. Tutte le cose mie sono tue, e le tue sono mie, e io sono glorificato in loro. Io non sono più nel mondo; essi invece sono nel mondo, e io vengo a te».

Parola del Signore.

Co-stretti

Roberto Pasolini

Siamo stati creati per cose grandi, per una vita gloriosa, nonostante l’evidenza di tanti nostri giorni dica spesso il contrario. I nostri pensieri, i progetti che coviamo nel cuore, le azioni e le direzioni che assumiamo quotidianamente nascondono — talvolta rivelano — un’insopprimibile attitudine a inseguire una gloria, a raggiungere una bellezza. Eppure, questa meravigliosa “costrizione” a cui siamo destinati, per compiersi, deve necessariamente imparare a immergersi in un’esistenza segnata sempre da tanti limiti, dove tutti siamo chiamati a scoprire che la vita, in fondo, è dono e non conquista.

«Ora essi sanno che tutte le cose che mi hai dato vengono da te, perché le parole che hai dato a me io le ho date a loro» (Gv 17,7-8).

Nella preghiera che Gesù rivolge al Padre, prima di entrare nella sua passione, alzando gli occhi al cielo, possiamo contemplare la mitezza di un cuore capace di dare gloria a Dio. Non si appropria di nulla il Verbo che è principio di ogni cosa, senza il quale «niente è stato fatto di tutto ciò che esiste» (1,3). Il Figlio conosce l’amore gratuito e fedele del Padre e desidera che anche i suoi amici possano entrare, sempre più profondamente, in questa conoscenza. Per questo non ha paura di svuotare le mani e rinunciare a qualsiasi forma di potere che non sia quella della libera condivisione.

«Padre, è venuta l’ora: glorifica il Figlio tuo perché il Figlio glorifichi te. Tu gli hai dato potere su ogni essere umano, perché egli dia la vita eterna a tutti coloro che gli hai dato» (Gv 17,1-2).

Anche Paolo, al termine della sua straordinaria avventura apostolica, si mostra disincantato e ardente di fronte ai traguardi e alle prove della vita. Dopo essersi prodigato e aver servito le comunità cristiane «con tutta umiltà, tra le lacrime e le prove» (At 20,19) senza essersi «mai sottratto» a «catene e tribolazioni» (20,20.23), l’apostolo matura uno sguardo su di sé ormai imprescindibilmente legato a Dio e alla gloriosa testimonianza da potergli rendere.

«Non ritengo in nessun modo preziosa la mia vita, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di dare testimonianza al vangelo della grazia di Dio» (At 20,24).

Chi si abbandona alla grazia del vangelo non diventa incapace di stimare preziosa la propria vita. Semplicemente non riesce più a vederla e a considerarla a partire da se stesso, ma solo dalla missione che gli è stata affidata, anche in mezzo alle tribolazioni e alle sofferenze. Per questo è capace di rialzarsi e affrontare ogni (tipo di) giornata. Persuaso che quanto lo attende — lavorare o rimanere fermo a un semaforo, piangere o sorridere — sarà una misteriosa provvidenza del Dio che, mediante il suo Spirito, ci costringe a camminare verso il cielo.

«Ed ecco, dunque, costretto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme, senza sapere ciò che là mi accadrà» (At 20,22).

Ascoltiamo insieme

Commento al Vangelo del 2 giugno 2025

Abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 16,29-33

In quel tempo, dissero i discepoli a Gesù: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t'interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio».
Rispose loro Gesù: «Adesso credete? Ecco, viene l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me.
Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».

Parola del Signore.

Non siamo soli

Roberto Pasolini

Non sappiamo perché Paolo ha pensato di rivolgere ai discepoli di Efeso la strana domanda con cui si apre il racconto degli Atti. Possiamo però immaginare che, ai suoi occhi, questi discepoli del Risorto dovevano sembrare privi di un fondamentale sigillo nella loro formazione alla vita nuova del vangelo.

«Avete ricevuto lo Spirito Santo quando siete venuti alla fede?» (At 19,2)

Un breve dialogo è sufficiente per mostrare l’assenza del gesto di fede da cui sgorga la vita cristiana e, soprattutto, l’effusione dello spirito. I discepoli di Efeso avevano ricevuto solo il «battesimo di conversione», quello di Giovanni, ma non erano stati ancora immersi nel dolcissimo «nome del Signore» Gesù.

Non appena Paolo ebbe imposto loro le mani, discese su di loro lo Spirito Santo e si misero a parlare in lingue e a profetare (At 19,6).

In questi giorni, a cavallo tra il mistero dell’Ascensione e quello della Pentecoste, la comunità cristiana si mette in una più fervida attesa e invocazione dello Spirito. Persona e non semplice energia, lo Spirito Santo si manifesta fin dal principio come quella possibilità di rimettere la nostra vita dentro la trama — e la sfida — delle relazioni (parlare in lingue), attivando anche la coscienza di quale direzione la storia sta assumendo secondo i disegni di Dio (profetare). Non come la disponibilità di una conoscenza che corre il rischio di diventare una posizione autoreferenziale.

«Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio» (Gv 16,29-30).

Restiamo sempre molto affascinati quando siamo davanti a qualcuno che si mostra capace di parlare con franchezza, senza inutili giri di parole. E anche quando in qualcuno contempliamo la nostra più intima e pericolosa idolatria: essere così forti e padroni di sè — talvolta anche degli altri — da non aver bisogno di nessuno. Ma su questo punto, il Signore Gesù non incanta e non si lascia incantare.

«Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo» (Gv 16,31-32).

Quando veneriamo la forza e il potere, viene (sempre) l’ora in cui sperimentiamo le amare conseguenze di queste illusorie forme di vita. Due, purtroppo, sono le inevitabili scelte che non riusciamo a non fare: sperimentare la solitudine e abbandonare anche ciò o chi si è veramente amato. Il Signore Gesù ha potuto amarci e donarci il suo Spirito non a partire da una forza di autonomia, ma dal battesimo in una comunione d’amore. Questa può essere anche la nostra pace.

«[...] ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto questo perché abbiate pace in me» (Gv 16,33).

Ascoltiamo insieme

Commento al Vangelo del 31 maggio 2025

Grandi cose ha fatto per me l'Onnipotente: ha innalzato gli umili.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 1,39-56
 
In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.
Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
Allora Maria disse:
«L’anima mia magnifica il Signore
e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore,
perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente
e Santo è il suo nome;
di generazione in generazione la sua misericordia
per quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;
ha rovesciato i potenti dai troni,
ha innalzato gli umili;
ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,
come aveva detto ai nostri padri,
per Abramo e la sua discendenza, per sempre».
Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

Parola del Signore.

Incontro

Roberto Pasolini

Il mese di maggio, tradizionalmente dedicato alla Vergine Maria quale mediatrice di grazia e di salvezza, si conclude sempre con la festa della Visitazione, il primo gesto di evangelizzazione che la Madre del Signore compie dopo aver spalancato le porte al desiderio di Incarnazione del Verbo dell’Altissimo. Si potrebbe persino rimanere un po’ frastornati dal pressante invito al giubilo e all’allegria con cui si apre la liturgia della Parola scelta per questa festa:

«Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!» (Sof 3,14).

Tra i sentimenti di cui facciamo esperienza, la gioia sembra il più difficile da recuperare quando è assente, o da mostrare agli altri quando la sua presenza è troppo flebile in noi. Eppure è proprio la felicità la prima conseguenza che scaturisce quando la nostra umanità si rende «docile all’azione dello Spirito» (cf. Colletta), come l’avvio del Vangelo lascia ben intendere:

«In quei giorni, Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda» (Lc 1,39). 

Una delle caratteristiche peculiari del Vangelo di Luca sono gli incontri che segnano e accompagnano tutta la vita di Gesù, sin dal suo nascere nella mangiatoia di Betlemme, con la visita dei pastori che vegliavano lungo la notte in attesa dell’aurora. Nei primi due capitoli del suo libro, dove l’evangelista colloca i cosiddetti Vangeli dell’Infanzia, troviamo un Dio che ama andare incontro alla nostra umanità, facendole visita proprio in quelle sue dimensioni più povere e deboli dove spesso ci sentiamo soli e abbandonati. Nel modo con cui la Vergine accoglie e congeda l’angelo di Dio, per poi precipitarsi a condividere l’inatteso frutto del suo grembo, possiamo contemplare come la nostra umanità sia capace di accogliere – anzi di godere – di questo Dio che non desidera altro se non condurci dentro la vitalità del suo eterno amore:

«Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44). 

Il cuore della Vergine Madre si è lasciato inondare di beatitudine nell’istante in cui ha scoperto che l’Onnipotente stava posando su di lei il suo sguardo con dolcissimo amore, per immergere tutta la sua vita in un torrente di «misericordia» destinato a rigenerare, con la sua forza benefica, tutta l’umanità «di generazione in generazione» (1,50). Gli occhi di Dio hanno rivelato a Maria che la sua piccola, fragile umanità poteva servire al suo disegno di amore e di salvezza per il mondo intero, come lei stessa non esita a dichiarare: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (1,48). Le prime parole che Maria pronuncia a casa della cugina Elisabetta sono diventate giustamente un canto, che ritma il tempo della vita della Chiesa, restituendolo continuamente alla legge delle Beatitudini:

«L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore» (Lc 1,46-47).

Il commento di un grande autore spirituale estende l’efficacia e l’opportunità di questo canto a chiunque sia rinato nelle acque battesimali attraverso la parola del Vangelo e la comunione con i fratelli nella fede: «Queste parole, che stanno bene sulle labbra di tutte le anime perfette, erano adatte soprattutto alla beata Madre di Dio. Per un privilegio unico essa ardeva d’amore spirituale per colui della cui concezione corporale ella si rallegrava. A buon diritto ella poté esultare più di tutti gli altri santi di gioia straordinaria in Gesù suo salvatore. Sapeva infatti che l’autore eterno della salvezza sarebbe nato dalla sua carne, con una nascita temporale e in quanto unica e medesima persona, sarebbe stato nello stesso tempo suo figlio e suo Signore» (Dalle «Omelie» di san Beda il Venerabile, Lib. 1, 4). 
Lo Spirito Santo, che ha adombrato la Vergine e rallegrato per sempre il suo cuore, si dona a ciascuno di noi come principio di vita nuova, il cui sigillo di garanzia non può che essere una sempre più naturale capacità di incamminarsi verso l’altro per condividere la gioia di aver «creduto nell’adempimento di ciò che il Signore» (Lc 1,45) ha rivelato al cuore della nostra vita.

Ascoltiamo insieme