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Leggiamo ed ascoltiamo insieme questa brevissima ma intensa poesia del maestro Gianni Rodari
Chiedo scusa alla favola antica se non mi piace l’avara formica. Io sto dalla parte della cicala che il più bel canto non vende, regala.
La poesia Alla cicala di Gianni Rodari è una rilettura originale della celebre favola di Esopo La cicala e la formica, ma con un ribaltamento del messaggio morale tradizionale. Mentre nella versione classica la cicala viene rimproverata per la sua leggerezza e la sua mancanza di previdenza, Rodari invece la celebra come simbolo di libertà, arte e poesia.
Rodari spesso si schiera dalla parte degli artisti e dei sognatori, opponendosi a una visione della vita puramente produttivistica. Nella sua poesia, la cicala non è una fannullona, ma un’ispiratrice che riempie l’estate di musica e bellezza. Questo riflette il valore dell’arte e della creatività, che non possono essere ridotti a un mero calcolo utilitaristico.
Il tono della poesia è leggero e ironico, ma contiene un messaggio profondo: la vita non è fatta solo di lavoro e fatica, ma anche di momenti di gioia e ispirazione. Con il suo stile semplice e accessibile, Rodari ci invita a riconsiderare il nostro rapporto con il tempo, il lavoro e la felicità.
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano». Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».
Parola del Signore.
Di nuovo
Roberto Pasolini
Molti giorni scorrono monotoni e lenti, come un fiume che, con regolarità, calca e scava la terra in cerca di un luogo dove effondere il suo silenzioso impeto. A noi sembra che non accada nulla di nuovo, anzi che tutte le cose per cui attendiamo un segno di cambiamento e di novità sonnecchino, sepolte sotto un diluvio di acqua che tutto copre e confonde. Al pari di Noè, dopo i momenti più terribili e temibili, mandiamo messaggi e messaggeri verso l’esterno, per vedere «se le acque si fossero ritirate dal suolo» (Gen 8,8). Tante volte, tuttavia, dobbiamo constatare che mancano nuove condizioni per tornare a vivere: «ancora acqua su tutta la terra» (8,9). Eppure, i tempi di dilazione e di attesa che siamo chiamati a patire ci infondono anche un pizzico di fiducia nella storia, perché attestano che la fine del mondo, per noi, non è ancora finita. Anzi, possiamo continuare a restare nella speranza di riuscire a vedere presto anche «qualcosa» (Mc 8,23) di nuovo all’orizzonte. La prospettiva simbolica offerta a noi oggi dalle Scritture, attraverso la fine del diluvio universale, può essere una chiave per accedere al senso profondo del vangelo odierno, dove si racconta la conclusione di un’altra interruzione di vita, per mano del Signore Gesù e della sua forza terapeutica. Un cieco viene condotto «per mano fuori dal villaggio» (8,23), lontano dal chiasso delle chiacchiere e dall’inganno dei luoghi comuni. Al riparo dalla città, dove la luce sembra diffondere una certa chiarezza, Gesù compie un miracolo di illuminazione in due tempi, perché il venire alla luce non è mai evento di un istante, ma storia di molti sospiri e di incerti passi. Dal male profondo che affligge il nostro cuore e la nostra carne siamo guariti lentamente, perché la medicina di Dio non vuole e non può essere una pozione magica, ma un’offerta d’amore da accogliere e da metabolizzare rispettando tutti i tempi e i modi in cui la nostra umanità è capace di lasciarsi salvare. Infatti, qualsiasi autentica illuminazione con cui torniamo a vedere la realtà come luogo di vita e tempo di possibili promesse non può che avvenire attraverso una certa sinergia con il nostro desiderio. Dice il Signore Gesù al cieco: «Vedi qualcosa?» (8,23). La risposta è affermativa, ma la guarigione parziale. La vista soffre di una certa alterazione focale:
«Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano» (Mc 8,24).
Viene così descritta la prima tappa della nostra guarigione, quella in cui siamo in grado di riconoscere già qualcosa ma non di vedere «chiaramente» e «distintamente ogni cosa» (8,25). All’interno di questo parziale riscatto, ci è offerto il pegno di uno sguardo penetrante che, pur non riuscendo ad avere una visione d’insieme, è già capace di leggere dentro la realtà. Proprio come il cieco, che ha questa sublime visione degli uomini come alberi che camminano: immagine profetica e misteriosa della nostra divino-umanità, da una parte pienamente radicata nella terra, dall’altra pellegrina e forestiera in questo mondo, protesa a una vita celeste. Attraverso questa capacità di cogliere il senso di alcune cose e di tendere incessantemente a quelle che ci saranno rivelate e donate, il Signore ci coinvolge nel miracolo della nostra illuminazione, invitandoci a mettere insieme i pezzi della nostra vita per imparare a meditarla dentro il disegno d’amore del Padre. In questa cecità già raggiunta dalle «mani» del Salvatore, possiamo diventare, «di nuovo» (8,25), discepoli pazienti e capaci di amore. Disposti a soffrire e ad attendere che compaia all’orizzonte «un ramoscello di ulivo» (Gen 8,11) a darci piena conferma di quella pace che desideriamo e di quella luce sufficiente a rimetterci in cammino.
Trascorsi quaranta giorni, Noè aprì la finestra che aveva fatto nell'arca e fece uscire un corvo. Esso uscì andando e tornando, finché si prosciugarono le acque sulla terra. Noè poi fece uscire una colomba, per vedere se le acque si fossero ritirate dal suolo; ma la colomba, non trovando dove posare la pianta del piede, tornò a lui nell'arca, perché c'era ancora l'acqua su tutta la terra. Egli stese la mano, la prese e la fece rientrare presso di sé nell'arca. Attese altri sette giorni e di nuovo fece uscire la colomba dall'arca e la colomba tornò a lui sul far della sera; ecco, essa aveva nel becco una tenera foglia di ulivo. Noè comprese che le acque si erano ritirate dalla terra. Aspettò altri sette giorni, poi lasciò andare la colomba; essa non tornò più da lui. L'anno seicentouno della vita di Noè, il primo mese, il primo giorno del mese, le acque si erano prosciugate sulla terra; Noè tolse la copertura dell'arca ed ecco, la superficie del suolo era asciutta. Allora Noè edificò un altare al Signore; prese ogni sorta di animali puri e di uccelli puri e offrì olocausti sull'altare. Il Signore ne odorò il profumo gradito e disse in cuor suo: «Non maledirò più il suolo a causa dell'uomo, perché ogni intento del cuore umano è incline al male fin dall'adolescenza; né colpirò più ogni essere vivente come ho fatto. Finché durerà la terra, seme e mèsse, freddo e caldo, estate e inverno, giorno e notte non cesseranno».
Parola di Dio.
Salmo Responsoriale
Dal Sal 115 (116)
R.A te, Signore, offrirò un sacrificio di ringraziamento.
Che cosa renderò al Signore, per tutti i benefici che mi ha fatto? Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore. R.
Adempirò i miei voti al Signore, davanti a tutto il suo popolo. Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli. R.
Adempirò i miei voti al Signore davanti a tutto il suo popolo, negli atri della casa del Signore, in mezzo a te, Gerusalemme. R.
Acclamazione al Vangelo
Alleluia, alleluia.
Il Padre del Signore nostro Gesù Cristo illumini gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza ci ha chiamati. (Cf. Ef 1,17-18)
Alleluia.
Il Vangelo di oggi 19 febbraio 2025
Il cieco fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa.
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli giunsero a Betsàida, e gli condussero un cieco, pregandolo di toccarlo. Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: «Vedi qualcosa?». Quello, alzando gli occhi, diceva: «Vedo la gente, perché vedo come degli alberi che camminano». Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente, fu guarito e da lontano vedeva distintamente ogni cosa. E lo rimandò a casa sua dicendo: «Non entrare nemmeno nel villaggio».
« Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio » (Mt 5, 8)
Come uno specchio risplendente, così deve essere pura l'anima dell'uomo. Quando invece lo specchio si deteriora, il viso dell'uomo non può più essere visto in esso. Allo stesso modo quando il peccato ha preso possesso dell'uomo, egli non può più vedere Dio... Ma se vuoi, puoi essere guarito. Affidati al medico ed egli opererà gli occhi della tua anima e del tuo cuore. Chi è questo medico? È Dio, il quale per mezzo del Verbo e della Sapienza guarisce e dà la vita. Dio, per mezzo del Verbo e della Sapienza, ha creato tutte le cose; infatti: « Dalla parola del Signore furono fatti i cieli, dal soffio della sua bocca ogni loro schiera » (Sal 33, 6). La sua Sapienza è infinita: « Il Signore ha fondato la terra con la sapienza, ha consolidato i cieli con intelligenza » (Pr 3, 19)... Se capisci queste cose, uomo, e se vivi in purezza, santità e giustizia, puoi vedere Dio. Ma prima di tutto siano nel tuo cuore la fede e il timore di Dio e allora comprenderai tutto questo. Quando avrai deposto la tua mortalità e ti sarai rivestito dell'immortalità, allora vedrai Dio secondo i tuoi meriti. Egli infatti fa risorgere insieme con l'anima anche la tua carne, rendendola immortale e allora, se ora credi in lui, divenuto immortale, vedrai l'Immortale.
Parole del Santo Padre
Con questo miracolo Gesù si manifesta e si manifesta a noi come luce del mondo; e il cieco rappresenta ognuno di noi, che siamo stati creati per conoscere Dio, ma a causa del peccato siamo come ciechi, abbiamo bisogno di una luce nuova; tutti abbiamo bisogno di una luce nuova: quella della fede, che Gesù ci ha donato. Infatti quel cieco del Vangelo riacquistando la vista si apre al mistero di Cristo. […] Che cosa significa avere la vera luce, che cosa significa camminare nella luce? Significa innanzitutto abbandonare le luci false: la luce fredda e fatua del pregiudizio contro gli altri, perché il pregiudizio distorce la realtà e ci carica di avversione contro coloro che giudichiamo senza misericordia e condanniamo senza appello. […] Un’altra luce falsa, perché seducente e ambigua, è quella dell’interesse personale. […] Questa nuova illuminazione ci trasformi negli atteggiamenti e nelle azioni, per essere anche noi, a partire dalla nostra povertà, dalle nostre pochezze, portatori di un raggio della luce di Cristo. (Angelus, 26 marzo 2017)