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Le pecore ballerine

Leggiamo ed ascoltiamo insieme la fiaba de "le pecore ballerine"

Curiosando

Esistono al mondo diverse centinaia di razze ovine, ognuna con le sue caratteristiche distintive. Alcune delle razze più comuni in Italia includono:

Razze da latte:

  • Sarda: Originaria della Sardegna, questa razza è conosciuta per la sua produzione di latte abbondante e di alta qualità, utilizzato per la produzione di formaggi come il pecorino romano e il pecorino sardo. Le pecore sarde sono di taglia media, con un mantello bianco e corna a spirale.
  • Comisana: Allevata principalmente in Sicilia, la pecora comisana è apprezzata per il suo latte ricco di grassi, utilizzato per la produzione di formaggi come il ragusano e il provolo agrigentino. Le pecore comisane sono di taglia media-grande, con un mantello bianco e corna a mezzaluna.
  • Lacaune: Originaria della Francia, questa razza è diffusa anche in Italia, soprattutto nelle zone del Nord. È conosciuta per la sua buona produzione di latte di qualità discreta, utilizzato per la produzione di formaggi e yogurt. Le pecore lacaune sono di taglia media, con un mantello bianco e corna corte.

Razze da carne:

  • Merinizzata Italiana: Derivata da incroci tra pecore merinos e razze locali, questa razza è diffusa in tutta Italia. È apprezzata per la sua lana pregiata, utilizzata per la produzione di filati e tessuti. Le pecore merinizzate italiane sono di taglia media, con un mantello bianco e corna a chiocciola.
  • Suffolk: Originaria dell'Inghilterra, questa razza è allevata anche in Italia per la sua carne di alta qualità. Le pecore Suffolk sono di taglia media-grande, con un mantello bianco e nero e la faccia nera.
  • Texel: Originaria dei Paesi Bassi, questa razza è diffusa anche in Italia per la sua carne magra e saporita. Le pecore Texel sono di taglia media-grande, con un mantello bianco e la testa nera.

Razze a duplice attitudine (latte e carne):

  • Appenninica: Diffusa in tutto l'Appennino, questa razza è rustica e adattabile a diversi climi. È apprezzata sia per la sua produzione di latte discreta che per la sua carne di buona qualità. Le pecore appenniniche sono di taglia media, con un mantello variabile dal bianco al nero e corna a torsione.
  • Brognola: Originaria delle Alpi, questa razza è conosciuta per la sua rusticità e la sua capacità di adattarsi a climi montani. È apprezzata sia per la sua produzione di latte che per la sua carne. Le pecore brogne sono di taglia media, con un mantello nero e corna a torsione.
  • Corriedale: Originaria della Nuova Zelanda, questa razza è diffusa anche in Italia per la sua buona produzione di lana e carne. Le pecore Corriedale sono di taglia media-grande, con un mantello bianco e corna a torsione.

Oltre a queste razze principali, in Italia esistono molte altre razze ovine autoctone, spesso a rischio di estinzione. Queste razze sono importanti per la conservazione della biodiversità e per la valorizzazione dei prodotti tipici locali.

Le caratteristiche delle pecore variano molto a seconda della razza. Alcune pecore sono grandi e robuste, altre piccole e delicate. Alcune hanno il mantello bianco, altre nero o marrone. Alcune hanno le corna, altre no. La scelta della razza da allevare dipende da diversi fattori, come il clima, il tipo di terreno, la disponibilità di foraggio e gli obiettivi dell'allevamento.

Leggiamo insieme

C'era una volta un pastore di nome Bruno che viveva sulle colline verdi con il suo gregge di pecore. Bruno era un pastore gentile e premuroso, che si prendeva cura delle sue pecore con amore. Le pecore, a loro volta, adoravano Bruno e lo seguivano ovunque andasse.

Un giorno, mentre Bruno conduceva il gregge al pascolo, notò qualcosa di strano. Le pecore, invece di brucare l'erba come al solito, si erano radunate in cerchio e avevano iniziato a ballare. Bruno era stupito! Non aveva mai visto le sue pecore ballare prima d'ora.

La musica era allegra e vivace, e le pecore ballavano con grazia e allegria. Bruno si mise a ridere e iniziò a battere le mani a tempo. Le pecore lo videro e lo invitarono a unirsi a loro.

Bruno era un po' timido all'inizio, ma poi decise di buttarsi. Iniziò a ballare con le pecore, e presto si divertiva un mondo. Ballarono per ore, sotto il sole caldo, finché non furono stanchi.

Da quel giorno in poi, Bruno e le sue pecore ballarono ogni giorno. Era il loro modo per divertirsi e stare insieme. Erano felici e spensierati, e la loro gioia si diffondeva per tutta la collina.

La notizia delle pecore ballerine si sparse in tutto il paese, e presto la gente veniva da lontano per vederle ballare. Bruno e le sue pecore divennero famosi, e tutti li amavano.

Bruno imparò che la felicità non si trova solo nel lavoro e nelle responsabilità, ma anche nel divertimento e nella spensieratezza. E le sue pecore gli insegnarono che a volte, le cose più semplici della vita sono le più belle.

Morale della favola:

  • La felicità è importante nella vita.
  • È importante trovare il tempo per divertirsi e stare insieme alle persone che amiamo.
  • Non bisogna aver paura di essere diversi e di esprimere la propria individualità.
  • Le cose semplici della vita possono essere le più belle.

Ascoltiamo insieme

Le favole della buonanotte
Le favole della buonanotte
Le pecore ballerine
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San Giorgio

Leggi la storia completa di San Giorgio

Nella vastissima galleria dei santi e della santità cristiana (nelle sue componenti occidentale e orientale) ci imbattiamo in tanti personaggi, uomini e donne, che possiamo definire originali oppure “strani”, perché possono destare in noi, discepoli e discepole di Cristo del III Millennio, ammirazione per le loro grandi azioni, invidia per la loro vita santa, desiderio di imitazione nel nostro quotidianamente faticoso cammino spirituale.

Tutto questo sì, ma non solo. Può sorgere in noi anche qualche perplessità per certi loro aspetti di santità che consideriamo non “moderni” (e nemmeno post moderni) o comunque non esaltanti per la nostra sensibilità.

Ci può anche essere, davanti a certe narrazioni agiografiche oltre il limite del buon senso, un certo fastidio e talvolta una qualche forma di repulsione. Dobbiamo allora condannare tutto alla rottamazione? Penso di no. O viceversa, accettare tutto? Nemmeno. L’invito è quello di restare liberi e criticamente vigili, sempre. 

Perché la nostra fede cristiana non si basa su queste narrazioni che talvolta sono leggendarie o che contengono elementi spuri o fantasiosi, ma su Gesù Cristo, storicamente esistitocome viene descritto nei Vangeli, studiati, soppesati anche nelle virgole, criticati, vagliati, confrontati incessantemente e sempre, oggi come nei secoli passati.

Il fin qui detto è per inquadrare il santo odierno : S. Giorgio, martire. Popolarissimo e famosissimo per quanto riguarda il culto ma poverissimo di riscontri e fondamenti storici.

Sono milioni le persone che, nelle varie lingue, ne portano il nome (anche nella versione femminile Giorgia o Giorgina), sono tantissime le chiese a lui dedicate, innumerevoli le persone che lo invocano o che comunque lo annoverano come patrono: come, per esempio, i militari, i fabbricanti di armi, i cavalieri, gli schermidori, gli alabardieri, i Giovani Esploratori, gli Scout, i contadini.

Può essere invocato inoltre dagli ammalati di lebbra, di peste o di malattie veneree. Anche se non è molto studiato nella agiografia in compenso è presentissimo nelle varie forme dell’arte: pittura, scultura etc..

Sotto questo aspetto S. Giorgio (con l’episodio del drago, caratterizzante la sua figura e fama) è una vera “super star”, ha cioè pochi eguali, escludendo naturalmente il Cristo, Maria di Nazaret e i principali Apostoli.

Ma c’è anche da ricordare un ruolo politico e militare di S. Giorgio. Nella Legenda Aurea si narra anche che i crociati nel 1099, giunti davanti a Gerusalemme, “ebbero una visione di San Giorgio vestito di una bianca armatura, che impugnava una croce rossa e faceva loro cenno perché lo seguissero e conquistassero la città. Essi allora si fecero coraggio, presero la città e sconfissero i saraceni”musulmani.

Il nostro santo poi è stato preso come patrono non solo dai Crociati, ma anche dopo di loro, dagli eserciti schierati in difesa dell’ortodossia cattolica. Carlo V infatti, nel secolo XVI, lanciò il suo esercito contro i principi protestanti riuniti contro di lui al grido: “San Giorgio”.

In Italia è patrono di più di 100 comuni di cui ben ventuno portano il suo nome. È anche protettore di varie nazioni come l’Inghilterra, il Portogallo, la Svezia, l’Ungheria, la Grecia, la Catalogna, la Georgia (che porta anche il suo nome).

Il suo culto si diffuse anche in Russia e in Etiopia. In Inghilterra poi furono fondati anche i Cavalieri dell’Ordine della Giarrettiera: questo viene considerato il primo ordine nobiliare laico che si autodefinì “Ordine aristocratico di San Giorgio”.

Come se non bastasse tutto questo, S. Giorgio fu uno dei Quattordici Santi Ausiliatori o Protettori, che, dal XVI secolo, si ritennero avessero poteri di intercessione di speciale efficacia.

Da ultimo, un particolare non trascurabile ai nostri giorni: Giorgio è un santo così famoso e potente che gli è stato riservato anche un posto nell’agiografia islamica, dove addirittura gli viene conferito il titolo onorevole di “profeta”. Come si vede un santo non solo transnazionale ma anche transreligioso.

Pochi santi possono vantare un curriculum vitae così vario, articolato, lungo e impegnativo. Ma, ahimè, nonostante tutto questo, proprio per l’assenza di fondamenti storici sicuri (nella qualità) e sufficienti (nella quantità), la Sacra Congregazione dei Riti, nel 1960, declassò impietosamente la festa di S. Giorgio a semplice memoria liturgica, a carattere solo... locale, da ricordare cioè solo nelle chiese particolari. Una retrocessione, certo, ma non una cancellazione. Prova questa che gli elementi che si hanno sulla sua figura sono pochi ma sufficienti.

L’episodio dell’uccisione del drago viene considerato da Jean Darche nella sua grande Vita di S. Giorgio come provato storicamente, mentre in genere si parla di pura leggenda (ma con un grande valore simbolico). “Storia o leggenda, l’episodio del dragone caratterizza in ogni caso San Giorgio. Significhi la vittoria riportata sul drago con la liberazione della fanciulla, oppure la vittoria riportata sull’idolatria e la liberazione dell’anima, è sempre una vittoria sul nemico con l’annientamento del forte e la liberazione del debole. Indica il carattere di San Giorgio e l’impressione lasciata sulla terra che ha attraversato”(E. Hello).

Da un punto di vista storico sembra che si possa affermare soltanto che Giorgio fu un soldato o un ufficiale dell’esercito romano, proveniente dalla Cappadocia, e che fu convertito al cristianesimo dalla madre. Affrontò con fermezza il martirio (verso il 303, poco prima, quindi, dell’Editto di Costantino del 313 che dava libertà al Cristianesimo), sotto l’imperatore romano Diocleziano a Lidda, (l’attuale Lod, presso Tel Aviv, in Israele) per avere invocato giustizia per i Cristiani perseguitati e perché lui stesso si era coraggiosamente dichiarato seguace della stessa fede.

Nei racconti della morte di S. Giorgio (chiamate Passioni) si narrano innumerevoli e orripilanti supplizi cui fu sottoposto per ben sette anni, finché cioè i suoi torturatori, stanchi, decisero di... tagliargli la testa, e chiudere così la pratica del martirio.

Ad essi venne aggiunto l’episodio dell’uccisione del drago. Questo racconto comparve, sia in Oriente sia in Occidente, nel secolo XI, e venne incluso verso il 1260, nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine (1230-1298), fatto questo che gli diede popolarità dovunque.

Significato del nome Giorgio : “agricoltore” (greco).


Innumerevoli e fantasiosi i racconti fioriti intorno alla figura di san Giorgio, fino all’episodio del drago e della fanciulla salvata dal santo che risale al periodo delle crociate. In esso si narra che nella città di Selem, Libia, vi era un grande stagno dove viveva un terribile drago.

Per placarlo gli abitanti gli offrivano due pecore al giorno e più avanti una pecora e un giovane tirato a sorte. Un giorno fu estratta la figlia del re e, mentre la ragazza si avviava verso lo stagno, passò di lì Giorgio che trafisse il drago con la sua lancia. Un gesto il suo che diventa simbolo della fede che trionfa sul male.

Ma chi è stato san Giorgio?

Giorgio, il cui nome di origine greca significa “agricoltore”, nasce nella Cappadocia verso il 280 da una famiglia cristiana. Trasferitosi in Palestina si arruola nell’esercito di Diocleziano. Quando, nel 303, l’imperatore emana l’editto di persecuzione contro i cristiani, Giorgio dona tutti i suoi beni ai poveri e, davanti allo stesso Diocleziano, strappa il documento e professa la sua fede in Cristo.

Per questo subisce terribili torture e alla fine viene decapitato. Sul luogo della sepoltura a Lidda, un tempo capitale della Palestina ora città israeliana nei pressi di Tel Aviv, venne eretta poco dopo una basilica i cui resti sono ancora visibili. Fin qui la Passio Georgii, classificata tra le opere agiografiche dal Decreto Gelasianum del 496 e definita perciò passio leggendaria.

Tra i documenti più antichi che attestano l’esistenza di san Giorgio, un’epigrafe greca del 368 rinvenuta ad Eraclea di Betania in cui si parla della “casa o chiesa dei santi e trionfanti martiri Giorgio e compagni”. Molte nel tempo le redazioni posteriori della passio.

Da martire a santo guerriero

I crociati contribuirono molto a trasformare la figura di san Giorgio martire in santo guerriero, volendo simboleggiare l’uccisione del drago come la sconfitta dell’Islam; Riccardo Cuor di Leone lo invocò come protettore di tutti i combattenti.

Con i Normanni il suo culto si radicò fortemente in Inghilterra dove, nel 1348, re Edoardo III istituì l’Ordine dei Cavalieri di san Giorgio. In tutto il Medioevo la sua figura divenne oggetto di una letteratura epica che gareggiava con i cicli bretone e carolingio.

Devozione a san Giorgio

San Giorgio è considerato il patrono dei cavalieri, dei soldati, degli scout, degli schermitori, degli arcieri; inoltre è invocato contro la peste e la lebbra, e contro i serpenti velenosi. San Giorgio è onorato anche dai musulmani che gli diedero l’appellativo di ‘profeta’.

In mancanza di notizie certe sulla sua vita, nel 1969 la Chiesa declassò la festa liturgica di san Giorgio a memoria facoltativa non intaccando però il culto a lui dedicato. Le reliquie del santo si trovano in diversi luoghi del mondo: a Roma la chiesa di S. Giorgio al Velabro ne custodisce il cranio per volontà di papa Zaccaria.

Come nel caso di altri santi avvolti nella leggenda, così anche per san Giorgio si potrebbe concludere che la sua funzione storica è quella di ricordare al mondo una sola idea ma fondamentale, e cioè che il bene a lungo andare vince sempre sul male.

La lotta contro il male è una dimensione sempre presente nella storia umana, ma questa battaglia non si vince da soli: san Giorgio uccide il drago perché è Dio che agisce in lui. Con Cristo il male che non avrà mai più l’ultima parola.

La Parola del 23 aprile 2024

Leggi e ascolta il Vangelo e La Parola del 23 aprile 2024

Martedì della IV settimana di Pasqua

Prima Lettura

Cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore.

Dagli Atti degli Apostoli
At 11,19-26

In quei giorni, quelli che si erano dispersi a causa della persecuzione scoppiata a motivo di Stefano erano arrivati fino alla Fenicia, a Cipro e ad Antiòchia e non proclamavano la Parola a nessuno fuorché ai Giudei. Ma alcuni di loro, gente di Cipro e di Cirène, giunti ad Antiòchia, cominciarono a parlare anche ai Greci, annunciando che Gesù è il Signore. E la mano del Signore era con loro e così un grande numero credette e si convertì al Signore.

Questa notizia giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, e mandarono Bàrnaba ad Antiòchia. Quando questi giunse e vide la grazia di Dio, si rallegrò ed esortava tutti a restare, con cuore risoluto, fedeli al Signore, da uomo virtuoso qual era e pieno di Spirito Santo e di fede. E una folla considerevole fu aggiunta al Signore.

Bàrnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Sàulo: lo trovò e lo condusse ad Antiòchia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente. Ad Antiòchia per la prima volta i discepoli furono chiamati cristiani.

Parola di Dio.

Salmo Responsoriale

Dal Sal 86 (87)

R. Genti tutte, lodate il Signore.

Sui monti santi egli l'ha fondata;
il Signore ama le porte di Sion
più di tutte le dimore di Giacobbe.
Di te si dicono cose gloriose,
città di Dio! R.

Iscriverò Raab e Babilonia
fra quelli che mi riconoscono;
ecco Filistea, Tiro ed Etiopia:
là costui è nato.
Si dirà di Sion:
«L'uno e l'altro in essa sono nati
e lui, l'Altissimo, la mantiene salda». R.

Il Signore registrerà nel libro dei popoli:
«Là costui è nato».
E danzando canteranno:
«Sono in te tutte le mie sorgenti». R.

Acclamazione al Vangelo

Alleluia, alleluia.

Le mie pecore ascoltano la mia voce, dice il Signore,
e io le conosco ed esse mi seguono. (Gv 10,27)

Alleluia.

Il Vangelo del 23 aprile 2024

Io e il Padre siamo una cosa sola.

Dal Vangelo secondo Giovanni
Gv 10,22-30

Ricorreva, in quei giorni, a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell'incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente».

Gesù rispose loro: «Ve l'ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me.

Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola».

Parola del Signore.

Simbolo « Quicumque »

detto di Sant'Atanasio (tra il 430 e il 500)

Simbolo "Quicumpue", (trad. cb© evangelizo)

“Io e il Padre siamo una cosa sola”

Questa è la fede cattolica: veneriamo un Dio nella Trinità e la Trinità nell'unità, senza confondere le persone, senza dividere la sostanza: una realtà infatti è la persona del Padre, un'altra quella del Figlio, un'altra quella dello Spirito Santo; ma il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo hanno la stessa divinità, uguale gloria, la stessa eterna maestà.

Come il Padre, così è il Figlio e così lo Spirito Santo: increato è il Padre, increato il Figlio, increato lo Spirito Santo. (...) Così il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio; e tuttavia non sono tre dei, ma un solo Dio. (...) Ecco la fede vera: crediamo e confessiamo che nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo: è Dio, della stessa sostanza del Padre, generato prima dei secoli; è uomo, della stessa sostanza di sua madre, nato nel tempo: Dio perfetto, uomo perfetto, composto di un'anima razionale e di un corpo umano, uguale al Padre secondo la divinità, inferiore al Padre secondo l'umanità.

Benché sia Dio e uomo, non ci sono tuttavia due Cristo, ma un solo Cristo: uno, non perché la divinità è passata nella carne, ma perché l'umanità è stata assunta da Dio; uno assolutamente, non per la confusione di sostanza, ma per l'unità di persona.

Poiché, come l'anima razionale ed il corpo fanno un uomo, così Dio e l'uomo fanno Cristo. Egli ha sofferto per la nostra salvezza, è disceso agli inferi, il terzo giorno è risuscitato dai morti, è salito al cielo, siede alla destra del Padre, da dove verrà a giudicare i vivi e i morti.

PAROLE DEL SANTO PADRE

L’immagine del pastore e delle pecore indica lo stretto rapporto che Gesù vuole stabilire con ciascuno di noi. Egli è la nostra guida, il nostro maestro, il nostro amico, il nostro modello, ma soprattutto è il nostro Salvatore. Infatti […] afferma: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno può strapparle dalla mia mano» (v. 28). Chi può parlare così? Soltanto Gesù, perché la “mano” di Gesù è una cosa sola con la “mano” del Padre, e il Padre è «più grande di tutti» (v. 29).

Queste parole ci comunicano un senso di assoluta sicurezza e di immensa tenerezza. La nostra vita è pienamente al sicuro nelle mani di Gesù e del Padre, che sono una sola cosa: un unico amore, un’unica misericordia, rivelati una volta per sempre nel sacrificio della croce.

Per salvare le pecore smarrite che siamo tutti noi, il Pastore si è fatto agnello e si è lasciato immolare per prendere su di sé e togliere il peccato del mondo. In questo modo Egli ci ha donato la vita, ma la vita in abbondanza (cfr Gv 10,10)! (Regina Caeli, 17 aprile 2016)

Ascoltiamo insieme

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