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Commento al Vangelo del 25 novembre 2024

Vide una vedova povera, che gettava due monetine.

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 21,1-4
 
In quel tempo, Gesù alzàti gli occhi, vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio.
Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine, e disse: «In verità vi dico: questa vedova, così povera, ha gettato più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno gettato come offerta parte del loro superfluo. Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere».

Parola del Signore.

Diminutivo!

MichaelDavide Semeraro

Siamo rapiti da questo sguardo del Signore Gesù che si lascia conquistare dalle realtà più piccole e più povere, in una logica di attenzione più sensibile al diminutivo che al superlativo. Lo sguardo del Signore Gesù è penetrante ed è capace di valorizzare ciò che altri rischiano non solo di sottovalutare, ma persino di disprezzare o, nel migliore dei casi, non vedere affatto. L’evangelista Luca ci fa entrare, per così dire, nello sguardo del Signore e così facendo, in realtà, ci fa entrare nel suo stesso cuore, permettendoci così di cogliere tutta la differenza dell’atteggiamento del Signore, a partire dal quale dobbiamo convertire e informare il nostro modo di guardare e di valutare:

«vide i ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro del tempio» (Lc 21,1).

Eppure il Signore non vede solo ciò che si impone allo sguardo con lo scintillio dell’oro o il sordo rumore di monete che cadono nel tesoro del Tempio attirando attenzione e creando ammirazione. Il Signore Gesù

«Vide anche una vedova povera, che vi gettava due monetine» (21,2).

Il diminutivo non è solo pieno di tenerezza, che talora può nascondere una certa sufficienza, ma è la rivelazione di un modo di stare al mondo che si fa invito alla conversione, il cui primo passo è valutare non il valore oggettivo delle cose, ma la loro valenza più profonda:

«Ella invece, nella sua miseria, ha gettato tutto quello che aveva per vivere» (21,4).

Lo sguardo con cui il Signore Gesù intercetta i gesti di quanti incontra sul suo cammino per coglierne il senso più profondo, diventa nell’Apocalisse una vera e propria visione del mondo che sarebbe assolutamente inadeguato ridurre a una semplice sequenza di “visioni extrasensoriali”. Ciò che si fa intravedere dal veggente di Patmos sono le conseguenze a largo respiro di questa logica del diminutivo, che diventa uno stile di sequela capace di orientare fino a rifondare la storia universale:

«Essi sono coloro che seguono l’Agnello dovunque vada. Questi sono stati redenti tra gli uomini come primizie per Dio e per l’Agnello. Non fu trovata menzogna sulla loro bocca: sono senza macchia» (Ap 14,4-5).

All’immagine delle «monetine» si accosta quella dell’«Agnello» e di quanti lo seguono in un atteggiamento di piccolezza e di mitezza che supera radicalmente la logica del «superfluo» (Lc 21,4) per aprirsi a quella del dono totale e assoluto. Una grande speranza ci viene comunicata dalla Liturgia di quest’oggi: c’è un modo diverso di stare al mondo senza cadere nella trappola del superlativo continuo, che rischia di prosciugare la nostra capacità di umanità:

«ecco l’Agnello in piedi sul monte Sion, e insieme a lui centoquarantaquattromila persone che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo» (Ap 14,1).

Questo nome misterioso più che un nome anagrafico è uno stile da cui si riconosce quel legame di appartenenza che fa la differenza. In una parola: dare «tutto», darsi totalmente proprio come si fa quando si muore, come si fa quando si ama!

Ascoltiamo insieme

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