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Commento al Vangelo del 15 dicembre 2024

E noi che cosa dobbiamo fare?

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 3,10-18
 
In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?». Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto».
Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?». Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato».
Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo, Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. Tiene in mano la pala per pulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel suo granaio; ma brucerà la paglia con un fuoco inestinguibile».
Con molte altre esortazioni Giovanni evangelizzava il popolo.

Parola del Signore.

Con il suo amore

Roberto Pasolini

Giunti a metà del percorso, l’Avvento prova a orientare i nostri cuori e la nostra preghiera verso un orizzonte di gioia, attraverso le parole profetiche di Sofonia e gli inviti festosi dell’apostolo Paolo: «Rallégrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta e acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!» (Sof 3,14);

«Siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. Il Signore è vicino!» (Fil 4,4.5).

Sarebbe bello riuscire a sintonizzarsi subito con questi imperativi, aderendo con spontaneità al loro invito. Eppure sappiamo bene come il tema della felicità si scontri contro innumerevoli resistenze interiori, persino quando è la stessa voce di Dio a dirci che possiamo imparare a prenderci una parte migliore della vita. La vita non scorre sempre in sintonia con il calendario liturgico e talvolta non sembra né possibile né opportuno scegliere la gioia come colonna sonora di quello che ci sta capitando. Pur essendo disposti a credere che il Signore voglia rinnovarci «con il suo amore» (Sof 3,17), pur avendo fatto esperienza della sua fedeltà «in ogni circostanza» (Fil 4,6) del nostro cammino, talvolta scopriamo di essere semplicemente così: senza alcun sorriso da poter esibire o improvvisare.
Come porci, allora, di fronte a una Parola che sembra volerci comandare di essere felici e di irradiare gioia? Al pari delle folle radunate attorno a Giovanni, anche noi potremmo cominciare a chiederci: «cosa fare?» (Lc 3,10), per poi ascoltare la sua articolata risposta, piena di indicazioni e rivelazioni. A tutti, il Battista diceva: «Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto» (3,11); ai «pubblicani», invece: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato» (3,13); ad «alcuni soldati»:

«Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe» (Lc 3,14).

Giovanni annuncia che per attendere il Signore è sufficiente condividere quello che abbiamo e non pretendere più di quello che ci è concesso, senza prenderci il diritto di possedere o di esigere più di quanto la Provvidenza ci sta facendo gustare. Se accettiamo di rifondare la nostra vigilanza su queste «semplici» attenzioni, così familiari e così concrete, forse possiamo ritrovare i sentieri della vita nuova, dove il mistero della nostra forza umana si può felicemente unire in alleanza con la potenza d’amore del Signore Dio:

«Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco» (Lc 3,16).

Il Natale di Dio può davvero essere paragonato alla venuta di un fuoco ardente, che intende bruciare la parte più superficiale e distratta della nostra umanità, non ancora plasmata secondo la parola del Vangelo e la logica delle Beatitudini. Il «fuoco inestinguibile» (3,17) dello Spirito Santo è una forza in grado di insegnarci a non essere preoccupati «per nulla» (Fil 4,6) e a gustare quella «pace» che «supera ogni intelligenza» e sa custodire i nostri cuori, spesso agitati e stanchi, in «Cristo Gesù» (4,7).
Il mistero dell’Incarnazione può dunque essere accolto come un imperativo a gioire nella misura in cui siamo disposti a credere che, anche nelle circostanze in cui non sappiamo ancora cosa «dobbiamo fare» (Lc 3,10) per raddrizzare i sentieri della nostra vita, «il Signore è vicino» a noi come un alleato fedele e misericordioso:

«Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico» (Sof 3,15).

Il nemico più «inestinguibile» con cui ciascuno di noi deve fare continuamente i conti è l’abitudine a esaminarci con occhi impietosi e stanchi, anziché approfittare dello sguardo di quel Dio che è capace di fare nuove tutte le cose rivelando – anzi gridando – tutta la sua felicità per noi:

«Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia» (Sof 3,17).

Ascoltiamo insieme

primo piano Eugenio
Eugenio Ruberto
Commento al Vangelo del 15 dicembre 2024
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